Sparò prima a sangue freddo con una pistola a una coppia di di israeliani, poi estrasse un Ak-47 e falciò due addetti del museo ebraico di Bruxelles. Per quella strage terroristica la Corte d’Assise della capitale belga ha emesso il suo verdetto quasi cinque anni dopo, giudicando colpevole il francese Mehdi Nemmouche. Il verdetto ha sposato la tesi dell’accusa e della parte civile, respingendo quella di una cospirazione, sostenuta invece dagli avvocati della difesa. Venerdì il tribunale si esprimerà sulla condanna. Nemmouche rischia l’ergastolo, secondo l’agenzia belga ed i media locali. Riconosciuto co-autore della strage il marsigliese Nacer Bendrer, che avrebbe fornito armi a Nemmouche in quella che è considerata la prima mattanza di stampo jihadista in Europa. Quel tragico sabato del 24 maggio 2014 l’orologio segnava le 15.27 quando un uomo con un cappellino calato sugli occhi, poi identificato come Nemmouche, entrava con un borsone nel Museo ebraico e tirava fuori un revolver uccidendo a sangue freddo una coppia di turisti israeliani, Myriam ed Emmanuel Riva. Poi, una volta nell’atrio, con un kalashnikov pieghevole faceva fuoco sulle due persone alla cassa, la volontaria Dominique Sabrier e Alexandre Strens, 25 anni, che morirà dopo 10 giorni di coma. Alle 15.29 le telecamere di sorveglianza ne registravano l’uscita. Solo per un caso, esattamente una settimana dopo, Mehdi Nemmouche verrà rintracciato nel corso di un controllo antidroga dei doganieri di Marsiglia alla stazione dei bus mentre arrivava da Bruxelles. L’azione condotta al museo rivela lo stesso modus operandi seguito dai fratelli Kouachi, che dopo poco più di sei mesi sterminarono la redazione di Charlie Hebdo, e da Amedy Coulibaly per la strage del supermercato kosher a Parigi. Nemmouche si era radicalizzato all’età di 19 anni. Educato alla religione cattolica nella famiglia, che lo aveva accolto dopo che la madre non era in grado di occuparsi di lui all’età di 12 anni aveva scelto la religione dei suoi nonni, l’Islam, e intorno ai 19 anni già si lanciava in discorsi e propositi estremisti. Secondo uno dei suoi professori, già a quell’età approvava la messa a morte di una donna adultera in un Paese che applicava la sharia. Nel 2012 è andato in Siria per combattere per l’Isis, rientrando due anni dopo in Europa. Altro dato interessante venuto fuori due anni dopo l’attentato al museo ebraico è quello rivelato dalla tv pubblica belga, secondo la quale Nemmouche non è il ‘lupo solitario’ che ha sempre voluto far credere di essere, ma sarebbe legato al gruppo di jihadisti degli attentati di Parigi e Bruxelles, da Abaaoud ai kamikaze dell’aeroporto. Un lungo filo rosso di sangue.