Si’, lo chiamavano “Bubi” perche’ era “piccolo e debole”. No, non ne sapeva niente delle camere a gas, non ne sapeva niente delle uccisioni di massa al campo di concentramento di Stutthof, dove lui, arruolato giovanissimo nelle SS, faceva da guardiano. No, non era nazista ne’ lo e’ mai stato. E, si’, ovviamente rispondeva solo agli ordini.
Ha un che di grottesco la testimonianza – letta da uno dei suo avvocati – resa ieri al tribunale di Muenster da Johann Rehbogen, 94 anni, accusato di essere corresponsabile di centinaia di omicidi nel lager che sorgeva a una trentina di chilometri da Danzica, in Polonia. Un racconto che la stessa Procura nonche’ le parti civili ritengono essere “inverosimile” e pieno di contraddizioni, quello dell’ex SS, che in sostanza nega le proprie responsabilita’, ma non di aver assistito ad orrori indicibili, in quei due anni, tra il 1942 e il 1944, passati a Stutthof. Per il resto, nessuna richiesta di perdono alle vittime e ai loro familiari. “Non ero stato inviato al fronte proprio perche’ ero piccolo e debole”, racconta l’imputato, tedesco nato in Romania, che dopo la guerra riusci’ a rifarsi una vita tranquilla e serena in Nord-Reno Vestfalia, fino ad essere raggiunto dal proprio passato solo pochi anni fa. “Non mi ero unito volontariamente alle SS”, spiega oggi Johann Rehbogen. “Avevo molta paura. E’ stato uno shock vedere come i nazisti trattavano i detenuti”.
Fondamentale per l’individuazione del criminale nazista è stata la testimonianza di Judith Meisel, una sopravvissuta agli orrori del lager. La donna, che ora ha 89 anni e vive negli Stati Uniti, ricorda ancora l’ultima immagine di sua madre, Mina, in piedi fuori da una camera a gas nel campo di concentramento di Stutthof. Come lei, altri 65.000 prigionieri furono inviati alla morte in quel campo di sterminio in Polonia. La scorsa estate, Cornelius Nestler, un professore e avvocato tedesco che ha rappresentato altri sopravvissuti all’Olocausto, ha messo in contatto Meisel con le autorità tedesche. Con grande sorpresa degli inquirenti arrivati dall’Europa, l’anziana ha riconosciuto subito due guardiani del campo di concentramento, Rehbogen e Harry Paul Fritz Schulz, di 92 anni. Il ricordo del primo, soprattutto, con il suo sguardo effeminato e le violenze sui prigionieri è rimasto indelebile nella sua memoria. “Mi rendo conto che questa persona all’epoca era un ragazzo – ha detto Meisel – tuttavia, le domande a cui deve rispondere sono una parte importante di questa storia”. “Come è riuscito a fare un lavoro tanto macabro essendo così giovane? Cosa ha pensato quando ha visto donne e bambini uccisi su scala industriale? Come ha spiegato il suo passato alla sua famiglia e ai suoi amici?”, si chiede la sopravvissuta alle atrocità naziste.
Oltre che con le camere a gas i detenuti furono eliminati con fucilazioni, iniezioni letali, uccisi dagli stenti, dalla fame e dalle malattie.
Mentre il suo avvocato legge la testimonianza, l’ex guardiano – portato nell’aula con una sedia a rotelle, come nelle precedenti udienze – si asciuga piu’ volte le lacrime: “Rapidamente mi fu chiaro che la Wehrmacht era tutt’altro che eccezionale. L’immagine che le autorita’ volevano trasmetterci era sbagliata. Da cristiano, mi risultava difficile far parte di tutto questo ma avevo troppa paura per ribellarmi. Oggi mi vergogno di aver accettato tutto questo”. “Bubi” non ricorda, pero’, vi fossero prigionieri ebrei. “C’erano soprattutto gli intellettuali a Stutthof”. Dopo il settembre 1944, fu spedito al fronte: “E’ stata una fortuna, perche’ sono sopravvissuto. Mi potevo considerare fortunato”. Al contrario, “i detenuti erano in condizioni spaventose”, ammette Rehbogen. “Me ne vergognavo, ma non posso dire che compassione sia la parola giusta. Mi risulta difficile trovare le parole giuste. Il destino dei detenuti non mi era indifferente”. Cosi’ dice l’ex guardiano. Che afferma che si era reso conto di come i nazisti trattavano gli altri esseri umani, “ed e’ per questo che non volevo passare per nemico dello Stato”. Tuttavia ribadisce di aver compreso molto piu’ tardi che si trattava di un sistema di uccisione di massa. “Non sapevo che ci fosse una camera a gas. Noi credevamo si trattasse di un ambiente per la disinfestazione”. L’anziano ex Ss afferma che la camera a gas possa essere entrata in funzione dopo la sua partenza del lager, nell’estate del ’44. “Io non sono un nazista, non lo sono mai stato e non lo saro’ neanche in quel poco tempo che mi rimane ancora da vivere”, conclude la sua testimonianza.
Non sorprendentemente, la lunga dichiarazione resa al tribunale di Muenster non e’ stata accolta positivamente dalla Procura generale e dai 17 tra ex deportati e loro familiari costituitisi parte civile: “Noi riteniamo che i guardiani fossero a conoscenza di molti piu’ fatti e accadimenti del campo di quanto non affermato oggi in questa testimonianza, visto che osservavano tutti gli accadimenti dalle torrette”, ha detto il Procuratore generale Andreas Brendel. Non credibile, secondo l’accusa, anche l’affermazione per cui l’ex Ss abbia prestato servizio contro la propria volonta’. Cosi’ la pensa anche l’avvocato di parte civile Onur Oezata, a detta del quale risulta che Johann Rehbogen si fosse arruolato volontariamente nelle SS. Ed e’ noto che solo personale “altamente ideologizzato” veniva chiamato in servizio in un campo di concentramento. Lo sapevano anche i nazisti: non era certo da tutti assistere a quel che succedeva dietro i cancelli del lager.