Con l’avvicinarsi delle elezioni presidenziali americane, il dibattito pubblico si fa sempre più acceso e le tensioni tra i candidati, Donald Trump e Kamala Harris, si intensificano. La campagna elettorale di quest’anno si distingue per la sua durezza, caratterizzata più dagli attacchi personali che da vere proposte. A pochi giorni dalle elezioni, previste per il 5 novembre, Shalom ha intervistato Claudio Pagliara, corrispondente della Rai dagli Stati Uniti, per esplorare le sfide che i candidati devono affrontare, il ruolo delle celebrità e dei social network, oltre naturalmente alle implicazioni di queste elezioni per la politica estera degli Stati Uniti.
Come giudica l’andamento della campagna elettorale fino a questo momento?
È stata una campagna molto dura, che ha privilegiato gli attacchi personali piuttosto che concentrarsi sui temi di sostanza. La mia sensazione è che sia una campagna che molti americani respingono, e personalmente non vedono l’ora che finisca.
I sondaggi mostrano una competizione serrata tra Trump e Harris. Considerando quanto accaduto al Madison Square Garden, pensa che questo possa avere un impatto sui risultati elettorali?
Riguardo al comico che ha fatto una battuta infelice su Porto Rico, ha sicuramente creato un certo imbarazzo tra l’elettorato ispanico. Tuttavia, anche Biden ha recentemente fatto una dichiarazione scomoda, definendo “spazzatura” i partecipanti ai comizi di Trump, il che ha dato modo all’ex presidente di rispondere in modo teatrale, facendosi vedere in un camion della spazzatura per difendere i suoi sostenitori. Questo è proprio ciò che mi lascia perplesso: una campagna elettorale che si concentra sugli scambi di battute e sugli episodi isolati, invece di affrontare i veri problemi del Paese, come il costo della vita, l’immigrazione e le questioni internazionali.
Quest’anno sembra che molte celebrità abbiano preso posizioni forti, spesso a favore di Harris. Questi endorsement influenzano davvero le scelte degli elettori, in particolare i più giovani?
Le celebrità possono certamente mobilitare i giovani elettori, come fa ad esempio Taylor Swift, che incoraggia i suoi milioni di follower a registrarsi e votare. Tuttavia, credo che l’impatto complessivo rimanga comunque limitato. Alla fine, il voto è determinato da questioni concrete. Come diceva lo slogan della campagna di Bill Clinton del 1992, “It’s the economy, stupid!” – ciò che davvero conta per gli americani è la situazione economica. Nonostante i dati economici siano oggettivamente positivi, la maggior parte degli americani è convinta che il Paese stia andando nella direzione sbagliata e che la loro situazione sia peggiorata rispetto a quattro anni fa. Questo malcontento rappresenta un terreno fertile per Donald Trump, che riesce a capitalizzare su queste percezioni grazie alla sua abilità comunicativa, indubbiamente più potente di quella della sua rivale, Kamala Harris. Per contrastare questa situazione, Harris si è circondata di figure pubbliche influenti, da Obama a Springsteen, per motivare i sostenitori. Va detto, tuttavia, che anche Trump ha il supporto di una “star”, e non una qualsiasi: Elon Musk. Mai prima d’ora un miliardario di tale spicco, l’uomo più ricco del pianeta, si era esposto tanto apertamente per sostenere un candidato.
I social network, in particolare X, continuano a svolgere un ruolo determinante nella diffusione di informazioni distorte e fake news. Quanto stanno influenzando questa campagna?
Queste elezioni presidenziali rappresentano forse il primo grande evento elettorale nell’era dell’intelligenza artificiale. Tecnologie come la generazione di immagini e video dal testo stanno cambiando il modo di fare campagna, consentendo una targettizzazione senza precedenti, ma aprendo anche la porta a usi rischiosi. I deep fake e le fake news, potenziate dall’AI, amplificano l’impatto emotivo in modo molto più potente rispetto a una semplice dichiarazione. Le democrazie dovrebbero trovare un accordo per regolamentare l’uso di queste tecnologie, perché la minaccia alla verità rischia di compromettere il sano svolgimento delle elezioni.
Parliamo delle comunità ebraiche. Quali sono le loro principali preoccupazioni in queste elezioni e come si riflettono nelle scelte degli elettori?
La comunità ebraica americana è molto variegata, ma storicamente vota in larga maggioranza per il Partito Democratico, ad eccezione degli ebrei ortodossi, che hanno sostenuto Trump. Tuttavia, quest’anno ci troviamo in un contesto complesso, segnato da un aumento preoccupante dell’antisemitismo negli Stati Uniti e da recenti eventi in Medio Oriente, che hanno intensificato la paura e l’incertezza. Gli elettori si chiedono chi, tra Kamala Harris e Donald Trump, possa garantire la sicurezza di Israele. Harris ha fatto un buon discorso a favore di Israele, ma ha anche cercato di attrarre il voto arabo, il che ha generato ambiguità. Al contrario, Trump ha una posizione chiara e ha realizzato significativi progressi in politica mediorientale.
In generale, gli ebrei avrebbero preferito Biden a Harris, poiché il presidente ha un lungo record di sostegno a Israele. Se non emergono candidati percepiti come ostili a Israele, come nel caso di Carter, è probabile che la comunità ebraica continui a votare per il Partito Democratico.
Il supporto a Israele da parte dell’amministrazione Biden e della Harris ha portato a numerose contestazioni, nei comizi come nei campus universitari. Questo clima influirà sul voto per Kamala Harris?
Certamente. In Michigan, in particolare a Dearborn e nei dintorni di Detroit, vivono circa 200.000 arabo-americani, che provengono da diverse ondate migratorie. Questa comunità è molto variegata, comprendendo yemeniti, sciiti e iraniani. Attualmente, la guerra a Gaza ha portato a forti critiche all’amministrazione Biden, e molti arabi americani esprimono un voto di protesta, che potrebbe tradursi in un sostegno a Trump o nell’astensione dal voto. Ho incontrato diverse persone che, dopo aver votato Biden, ora preferirebbero Trump o non voterebbero affatto. La comunità, in particolare la sua leadership, appare sempre più radicalizzata, sentendo una forte connessione con i propri cari in Medio Oriente. Credo che Kamala Harris avrà difficoltà a conquistare il Michigan, il che rende complicato raggiungere il numero necessario di grandi elettori. Senza il supporto di questa comunità, che fa la differenza, il suo percorso verso la vittoria si complica ulteriormente.
Come prevede che i risultati delle elezioni possano influenzare la politica estera degli Stati Uniti, in particolare per quanto riguarda il Medio Oriente?
È probabile che Harris segua molto la scia di Obama e Biden. Cercherà quindi di evitare un conflitto aperto con l’Iran, continuando comunque a sostenere Israele. Tuttavia, potrebbe scontrarsi con l’attuale governo israeliano. In caso di vittoria di Trump, sarebbe difficile fare previsioni precise, ma entrambi i candidati sembrano percepire la possibilità di costruire un nuovo tipo di Medio Oriente, includendo l’Arabia Saudita negli Accordi di Abramo.
E per quanto riguarda lo scenario europeo, con la guerra in Ucraina e la NATO?
Trump non uscirà dalla NATO né regalerà l’Ucraina alla Russia; le affermazioni fatte in campagna elettorale servono principalmente a vincere le elezioni. La NATO è fondamentale per la sicurezza degli Stati Uniti e continuerà a prosperare anche sotto la presidenza Trump, il quale enfatizzerà il contributo finanziario che i Paesi membri devono rispettare, come l’Italia.
Indipendentemente da chi vinca, ci si aspetta un compromesso sulla guerra in Ucraina, poiché entrambe le parti hanno raggiunto un punto di stallo. L’adesione dell’Ucraina alla NATO potrebbe servire da deterrente contro ulteriori aggressioni russe, aprendo un processo diverso rispetto agli ultimi tre anni.
Cambierà qualcosa invece nella politica estera americana in merito alla Cina?
C’è un consenso bipartisan tra repubblicani e democratici nel considerare la Cina il vero grande nemico. Le tensioni regionali, come quelle in Ucraina e Israele, rimangono importanti, ma il conflitto con la Cina ha potenziale per diventare globale. Si prevede quindi continuità nelle politiche di contenimento e nella ricerca di rapporti commerciali equi, indipendentemente dall’amministrazione in carica.
Infine, come prevede che sarà l’America dopo queste elezioni?
È difficile da dire. Gli Stati Uniti sono molto divisi. La missione più importante per chiunque vinca le elezioni sarà dare un senso reale all’impegno di essere “il presidente di tutti gli americani”. È essenziale che questa frase non rimanga vuota e richiede una seria introspezione riguardo alla rappresentazione dell’altra parte e all’estremismo presente nel dibattito politico. Speriamo che ci sia una riflessione seria su queste questioni, ma non sono particolarmente ottimista.