Durban è una città di circa quattro milioni di abitanti nella parte nordorientale del Sudafrica, sulla costa dell’Oceano Indiano, nota soprattutto per le sue belle spiagge e per la fiorente industria portuaria. Dal 31 agosto all’8 settembre 2001 vi si svolse però la “Conferenza mondiale contro il razzismo” promossa dall’Unesco e da allora il suo nome, almeno nel gergo politico internazionale, si è identificato con questo evento. Infatti nel 2009 la nuova edizione della “Conferenza” si riunì a Ginevra e fu soprannominata “Durban 2”; nel 2011 ce ne fu un’altra presso la sede della Nazioni Unite per celebrare il decimo anniversario della prima conferenza e la si chiamò “Durban 3” e oggi dopo altri dieci anni è stata convocata per il 22 settembre “Durban 4”, sempre a New York.
Naturalmente non vi è nulla di male nel combattere il razzismo anche per via diplomatica, con conferenze internazionali; anzi si tratta di un tema importantissimo, su cui ogni persona, movimento o stato ha il dovere di impegnarsi. Il fatto è però che la conferenza di Durban, la prima e anche le successive, non si impegnarono contro il razzismo in qualunque senso ragionevole del termine, ma si trasformarono in tribune di agitazione antisraeliana e antioccidentale, secondo una dinamica analoga a quella che abbiamo visto in opera nell’ultimo anno con le azioni del movimento “Black Lives Matter”. Durban divenne la peggiore manifestazione internazionale di antisemitismo nel dopoguerra. Invece di combattere il razzismo, la conferenza lo ha incoraggiato e incitato, almeno contro gli ebrei.
In preparazione della Dichiarazione finale da fare adottare a Durban, le nazioni asiatiche si erano incontrate a Teheran nel febbraio 2001. Il testo che uscì da questa pre-conferenza demonizzava Israele, accusandolo di aver commesso “un nuovo tipo di apartheid”, “un crimine contro l’umanità” e “una forma di genocidio”. Questo linguaggio fu eliminato all’ultimo minuto dalla Dichiarazione di Durban su pressione dei membri dell’Unione Europea, che minacciavano di seguire gli Stati Uniti e Israele, ritirandosi dalla conferenza. Tuttavia, il testo finale indicò solo Israele come presunto colpevole di razzismo. Alla conferenza i discorsi incendiari contro Israele erano onnipresenti. Arafat parlò ai delegati della “vergogna” delle “politiche e pratiche razziste israeliane contro il popolo palestinese”. Il dittatore cubano Fidel Castro gli fece eco predicando contro il “terribile genocidio perpetrato, proprio in questo momento, contro i nostri fratelli palestinesi”. In parallelo alla conferenza vera e propria, vi era “Forum delle ONG” in cui le organizzazioni non governative dichiararono formalmente Israele uno “stato di apartheid razzista” colpevole di “genocidio”. In una marcia guidata dai palestinesi con migliaia di partecipanti, un cartello diceva “Hitler avrebbe dovuto finire il lavoro”. Fra i documenti diffusi non mancavano i più famosi dei libri antisemiti, come “I Protocolli dei Savi di Sion”; l’Unione degli avvocati araba distribuiva caricature di ebrei con il naso adunco, le zanne grondanti di sangue e i soldi in mano. Attivisti ebrei per i diritti umani a Durban erano fisicamente intimiditi e minacciati, con grida di: “Non appartenete alla razza umana!”
Lo shock fu immenso, tanto che a Durban2, nel 2009, si rifiutarono di partecipare non solo Israele e Usa, ma anche Canada, Germania, Italia (il presidente del consiglio era Berlusconi, il ministro degli esteri Frattini), Svezia, Olanda e Australia. La conferenza, con meno partecipazione della prima, andò per gli stessi binari: la presidenza del comitato preparatorio fu assegnata alla Libia di Gheddafi e il discorso principale fu pronunciato fra gli applausi dal presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad: “Il sionismo mondiale personifica il razzismo – disse – ricorre falsamente alla religione e abusa dei sentimenti religiosi per nascondere il suo odio e il suo volto feroce”. Dopo la seconda guerra mondiale, è stato istituito “un governo totalmente razzista nella Palestina occupata, con il pretesto della sofferenza ebraica”. Con queste premesse, a Durban 3 quindici paesi rifiutarono di partecipare: Australia, Austria, Bulgaria, Canada, Repubblica Ceca, Francia, Germania, Israele, Italia (il primo ministro era sempre Berlusconi e il ministro degli esteri Frattini), Lettonia, Paesi Bassi, Nuova Zelanda, Polonia, Regno Unito e Stati Uniti.
Le premesse per Durban 4 non sono diverse dalle edizioni precedenti. In molti paesi, fra cui gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, l’antisemitismo “antirazzista” si è molto diffuso, anche in istituzioni come le principali università e in partiti che avevano sempre rifiutato l’odio per gli ebrei, come i Democratici americani e i Laburisti inglesi. Lo si è visto anche in Italia nelle reazioni di alcuni deputati, sindaci e dirigenti sindacali di fronte all’autodifesa israeliana dalla recente aggressione missilistica di Hamas. Anche in Francia e in Germania l’antisemitismo, almeno quello “buono” travestito da antisionismo e “dunque” da antirazzismo, ha infettato i più importanti livelli dello Stato e della politica. D’altro canto negli ultimi anni si è avuta una normalizzazione dei rapporti di Israele con molti paesi arabi, asiatici e africani, ma prima che la cessazione del conflitto si rifletta nelle sedi politiche e propagandistiche internazionali, molto tempo è passato. Anche Durban 4, insomma, molto probabilmente sarà un festival dell’odio per gli ebrei e per Israele. Ci sono già alcuni stati che hanno annunciato il loro boicottaggio: gli Usa, Israele, l’Australia, il Canada, la Gran Bretagna, l’Ungheria, l’Austria, l’Olanda, la Repubblica Ceca, la Germania. Dall’elenco mancano per ora la Francia e soprattutto per noi l’Italia. Possiamo sperare che il Ministro degli Esteri Di Maio, il Premier Draghi e il Presidente della Repubblica Mattarella sapranno evitare che l’Italia partecipi a una vergognosa sagra antisemita? Bisogna chiederlo con forza, perché i precedenti delle posizioni italiane all’Onu negli ultimi anni sono decisamente sconfortanti.