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    Alla ricerca della vita

    È come se un’immagine rimasta per anni in bianco e nero stia recuperando i suoi colori. Vorrei poterlo raccontare a mio padre e a tutti coloro che, lasciandoci, ci hanno trasmesso l’imperativo di ricostruire e tramandare quello che è stato. Vorrei far sapere loro quante cose sappiamo che prima non sapevamo e quanti dettagli proprio ora, a distanza di ottant’anni, stanno venendo alla luce. Quante vicende siamo sempre più in grado di ripercorrere nei loro particolari. Perché ora? E perché proprio ora non possiamo smettere di cercare?

    Il periodo storico che stiamo attraversando è infatti topico anche per quel che riguarda la Shoah. I motivi sono molteplici.

    Fino a quando sono vissuti con noi i testimoni diretti, l’impegno è stato soprattutto quello di ascoltarli, registrando ogni particolare delle loro memorie personali. Grazie a tante diverse iniziative – di cui la più ampia è quella della Shoah Foundation voluta da Steven Spielberg – sono state raccolte in decine di lingue centinaia di migliaia di testimonianze. In parallelo storici di diversi paesi hanno studiato e catalogato la documentazione accessibile: da quella nazista (ordini, liste, trasporti, filmati ecc.) a quella messa insieme dalla Croce Rossa internazionale durante e dopo la guerra, dai documenti rintracciabili nei paesi collaborazionisti, a quelli ripristinati dagli Alleati alla liberazione, dalle informazioni accumulate dai servizi alleati a quelle raccolte dalle associazioni di aiuto ebraiche, non ultimo allo studio fisico di alcuni siti relativi allo sterminio come campi di concentramento e fosse comuni. La ricerca è stata inizialmente svolta per iniziative separate, da enti e da paesi diversi, spesso senza comunicare. I paesi più attivi sono stati quelli dove si è rifugiata la maggioranza dei sopravvissuti, come Israele e Stati Uniti, ma anche quelli dove vivevano comunità ebraiche numerose, come Francia, Inghilterra, Canada, Australia. I materiali sono stati sistemati e catalogati in archivi lontani e inizialmente non in rete tra di loro. Con gli anni però, sono nate le reti di lavoro, tra storici, tra università, tra organizzazioni, infine tra governi. Due di queste sono l’IHRA (International Holocaust Remembrence Alliance, nata alla fine degli anni Novanta che oggi raccoglie 35 governi, https://www.holocaustremembrance.com) e l’EHRI (European Holocaust Research Infrastructure, https://www.ehri-project.eu/).

    Questi collegamenti, alcuni nati ancor prima dell’avvento della digitalizzazione, sono stati ovviamente amplificati dall’opportunità di creare una grande rete virtuale.

    Grazie a ciò si è aperta oggi la possibilità di incrociare i dati, di sovrapporre le testimonianze dei sopravvissuti allo studio archeologico dei siti, di collegare i dati meticolosamente conservati dai nazisti e dai loro collaboratori con quanto riscontrato alla liberazione dagli alleati e quanto rinvenuto dagli storici, di ricostruire il contesto dei fatti, le origini degli oggetti e dei reperti, di mettere a confronto memorie personali in lingua diversa relative a uno stesso luogo e a uno stesso evento. 

    A questo fine gli esperti lavorano assieme: archeologhi e storici per ritrovare fosse comuni e reperti in grado di raccontare storie nuove (come il destino di una famiglia, ad esempio, o quello di una intera comunità); archivisti e direttori di musei per ricostruire i nomi di persone rimaste anonime in una fotografia scattata da un passante, o per restituire un oggetto a un nome di famiglia, un’opera d’arte al suo legittimo proprietario, un’abitazione ai suoi antichi residenti, un edificio alla sua originaria funzione (sinagoga, mikveh, sala comunitaria ecc.).

    Questa meticolosa ricostruzione (pensiamo ai numerosi siti archeologici legati alla Shoah attivi oggi in Polonia, Repubblica Ceca, Francia, Serbia e Croazia) non è solo una risposta all’imperativo di ricordare e tramandare quanto è successo, oltre il racconto dei sopravvissuti, ma anche una ricerca di vita, in un periodo buio trasmesso quasi esclusivamente come un quadro di morte. Oggi ci sono famiglie in grado di ritrovare nomi, luoghi, oggetti, storie che appartengono alla vita di ciascuno di coloro che sono stati annientati, ma anche a ciascuno di noi. Per questo non si può smettere di ricercare, per loro, ma anche per noi. Non ultimo, per rendere giustizia alla Storia e tramandarla il più possibile alla luce della verità.

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