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    "Al Tempio sono a casa". Dopo 77 anni, Adler torna alla Sinagoga di Roma

    Era il 5 giugno 1944, quando il
    soldato statunitense Martin Adler arrivò nel ghetto di Roma per liberare la
    Sinagoga dai sigilli imposti dai nazisti. Stamane, dopo 77 anni, è tornato a
    percorrere il lungo corridoio del Tempio che conduce alla Tevá, l’altare.
    “Tornare qui è importante, al Tempio sono a casa – ha detto Martin – non è
    mai cambiato”.

    Ad accogliere il veterano, la
    Presidente della Comunità Ebraica di Roma, Ruth Dureghello, e l’Assessore alla
    Memoria Massimo Finzi, che lo hanno accompagnato nella visita all’Interno del
    Museo Ebraico. 

    “Se delle generazioni sono
    qui oggi, è anche per merito suo” lo ha ringraziato la Presidente. Adler è
    fortemente emozionato, le parole sembrano mancare. “Forte, bellissimo,
    eterno” dice. Lo sguardo rivolto ad ammirare la bellezza del Tempio, il
    libro delle preghiere fra le mani e la stella di David appesa al collo.

    Adler ricorda ogni singolo
    dettaglio del giorno in cui si sedette per la prima volta nel Tempio. Indica la
    sedia su cui si poggiò. “È quella – dice – la ricordo bene”. Quel
    giorno fu lo stesso in cui si diresse a Campo De’ Fiori per comprare una
    cartolina raffigurante la Sinagoga, che spedì alla madre Hanna Adler negli
    Stati uniti. “Cara mamma, questo è il Tempio ebraico di Roma – scrive
    Adler nella missiva – Io ero lì dentro”. Oggi, nella sua visita guidata al
    museo ebraico, condotta dalla Direttrice Olga Melasecchi, Adler l’ha donata
    alla comunità ebraica. Non una semplice lettera, ma una testimonianza di vita e
    d’affetto.

    Il nome di Adler potrà suonare
    familiare a molti. Il veterano statunitense, infatti, è già noto per una storia
    che ha fatto rapidamente il giro del mondo. Nell’autunno 1944 rischiò, infatti,
    di aprire il fuoco contro un presunto nascondiglio tedesco, che si rivelò
    essere un rifugio per tre bambini italiani. “Bambini! Bambini!” Aveva urlato la
    Mamma dei tre, Rosa, interponendosi fra i fucili ed i figli. L’attimo dopo è
    stato immortalato per sempre all’interno di una foto in bianco e nero,
    raffigurante il soldato con i tre bambini. Quello scatto è rimasto chiuso in un
    cassetto per decenni, fino a pochi giorni fa quando, grazie ai social ed al
    giornalista italiano Matteo Incerti, i quattro si sono potuti incontrare
    nuovamente a Bologna. 

     

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