Un libro in grado di regalare emozioni – in virtù
della storia avvincente che narra – e che allo stesso tempo offre spunti di
riflessione, trattando i temi dell’antisemitismo, delle leggi razziali, della
Shoah. Con queste parole l’avvocato Barbara Pontecorvo ha introdotto la
presentazione di “Unavoidable hope” di Roger Sabbadini, svoltasi presso il
Centro Studi Americani davanti a un folto pubblico, dove, tra emozione e
curiosità, erano presenti anche diversi parenti della famiglia protagonista.
Roger Sabbadini, professore all’Università di San
Diego, ha raccolto tutti i materiali che aveva a disposizione, ha registrato
ore di interviste e infine ha ricostruito l’affascinante storia di suo padre,
Alessandro Sabbadini. Nato a Roma nel 1916 in una famiglia pienamente integrata
nella società italiana, aveva una carriera avviata come militare. Ma l’emanazione
delle leggi razziali nel 1938 colpì anche la famiglia Sabbadini e Alessandro fu
espulso dall’esercito. Riuscì a fuggire negli Stati Uniti, ne divenne cittadino
e si arruolò: a quel punto la coraggiosa decisione di tornare in Italia,
combattendo per l’esercito del suo nuovo Paese. Chi meglio di lui per una
simile spedizione, visto che conosceva il territorio, la lingua, la situazione
sociale e politica? Avvenne così l’inizio di un percorso avventuroso, che lo
avrebbe portato ai combattimenti in Nord Africa e allo sbarco in Sicilia, fino
a diventare uno dei tanti protagonisti degli Alleati che parteciparono allo
sbarco di Anzio il 22 gennaio 1944 e che dopo 6 lunghi mesi liberarono la città
di Roma, prima di proseguire nel Nord Italia; per Alex, anche il lieto fine
dell’incontro con la famiglia all’indomani della fine delle ostilità.
Ma accanto alla vicenda personale nel libro si
sviluppano tanti altri aspetti. Nella sua presentazione, corredata da numerose
foto grazie alle immagini scattate dal padre nel corso delle sue missioni,
Roger ha rivelato numerosi dettagli interessanti. Anzitutto, ha affermato che
non ha voluto riportare solamente la storia della famiglia Sabbadini, ma anche
di tutti coloro che la aiutarono a salvarsi, come i Martella. Nel testo poi ha intrecciato
la vicenda del singolo alle questioni più generali, come la difficoltà
angloamericana di risalire l’Italia, rilevata anche dal Rabbino Capo di Roma
Riccardo Di Segni nel corso della presentazione. Un altro aspetto che si evince
dallo scritto di Sabbadini – ha notato sempre Di Segni, il quale ha confidato
al pubblico che sua moglie è parente del protagonista – è l’integrazione degli
ebrei nella società italiana degli anni ’20.
“Oggi parliamo di un eroe, ma nel corso della
Seconda Guerra Mondiale furono numerosi gli eroi della quotidianità: tutti
coloro che partecipavano a qualche esercito di resistenza, chi aiutava i propri
cari, chi doveva semplicemente affrontare ogni tipo di discriminazione per il
solo fatto di essere ebreo” ha affermato il professor David Meghnagi, il quale
ha proposto una riflessione sulla elaborazione del lutto nell’ebraismo.
“L’antisemitismo è continuato anche dopo la Shoah” ha aggiunto “e se gli ebrei
sono riusciti a non impazzire per la tragedia subita è stato grazie alla
nascita dello Stato d’Israele, il veicolo che ha permesso di capire che non si
era abbandonati”.