Incontriamo Dani Dayan, il presidente dello Yad Vashem, il Memoriale della Shoah di Gerusalemme, nel giorno della visita in Vaticano con Papa Francesco, in casa dell’ambasciatore israeliano Dror Eydar. Un momento per fare il punto sull’antisemitismo e sulla conoscenza della Shoah. C’è preoccupazione per quella che Dayan chiama la trivializzazione della Shoah, ovvero i no vax con la stella gialla, ma anche per l’attenzione e l’interesse che non sempre corrispondono alla conoscenza. “Importante è dare un nome a tutte le vittime, spiega Dayan, ancora lontano come traguardo, mancano due milioni circa dei sei periti nella Shoah”. Per lui è una missione. “Penso ad una bambina polacca che viene bruciata in una sinagoga in Polonia, quale sarà stato il suo ultimo pensiero? Magari di essere ricordata. Dobbiamo fare questo, raccontare una storia, non indottrinare. Il livello di coscienza è alto, ma il livello di conoscenza basso”. Dani Dayan è ancora visibilmente emozionato per la visita che, ci spiega, è avvenuta in spagnolo, o meglio nel dialetto di Buenos Aires da cui provengono sia lui che Papa Francesco.
Cosa ha significato essere ricevuto da Papa Francesco?
È stato un evento importante per me personalmente, ma soprattutto a livello internazionale per lo Yad Vashem e per lo stato d’Israele. Era la prima volta che un presidente dello Yad Vashem venisse ricevuto in Vaticano. Per me, è stata un’esperienza anche personale perché abbiamo parlato in spagnolo. Sono nato a Buenos Aires, come il papa, ho fatto l’Aliyah cinquant’anni fa, ma sono molto legato alla mia città d’origine.
Il papa è sempre stato attento alla comunità ebraica in Argentina e al mondo ebraico?
Sì, è sempre stato chiaro nella sua condanna dell’antisemitismo, dell’importanza di ricordare la Shoah come uno strumento per combattere l’antisemitismo. Inoltre, ho espresso al papa la mia gratitudine per aver aperto gli archivi vaticani ai ricercatori dello Yad Vashem sul periodo di prima e durante la Seconda guerra mondiale. Papa Francesco ha detto che aprire gli archivi è un’espressione di giustizia e questa è una dichiarazione molto forte. Ha anche detto: “So che nella Chiesa come in altre organizzazioni ci furono persone che fecero la cosa giusta e persone che non la fecero”. Ha detto chiaramente che non ha paura della storia. Anzi si aspetta che i ricercatori facciano luce su quello che accadde in quel periodo buio. Sappiamo che in questi archivi troveremo molte informazioni sulla Chiesa e anche sugli ebrei, ebrei singoli che hanno chiesto aiuto. Non aspettiamo altro che visionare questi archivi.
Avete parlato anche di Pio XII, il papa del silenzio?
No, non abbiamo parlato di Pio XII. Abbiamo parlato in termini generali.
È preoccupato per la guerra in Europa? Soprattutto visto che la comunità ebraica è divisa tra quella in Ucraina e quella in Russia?
Siamo preoccupati dalla situazione in Ucraina e dall’invasione russa e dai crimini di guerra commessi in Ucraina. Dobbiamo chiarire però che nella propaganda di entrambe le parti la Shoah è a volte oggetto di manipolazione. Dobbiamo dire con chiarezza che non tutti i crimini di guerra sono genocidi e che non tutti i genocidi sono l’Olocausto. La Shoah è unica nella storia dell’umanità e non si può paragonare a nessun’altra, inclusa la situazione in Ucraina.