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    Mondo

    La caduta di Assad è una vittoria di Israele

    La Siria presa dai ribelli
    Il regime siriano è caduto la notte scorsa. Con un’operazione straordinariamente rapida i ribelli della HTS (Commissione per la salvezza della Siria) hanno conquistato in dieci giorni prima Aleppo, la seconda città del paese, e poi sono avanzati a sud fino a prendere le città della fascia più fertile e popolosa (Hama e poi Homs), fino ad arrivare a Damasco. Nel frattempo crollavano anche i bastioni del regime a sud, al confine con Israele, e a est, verso la Giordania e l’Iraq. Stamattina sono entrati a Damasco; il primo ministro siriano, Ghazi al-Jalali, ha sancito il passaggio del potere politico, il presidente Assad è fuggito in aereo per direzione ignota. Non vi è stata sostanzialmente resistenza militare e anche i protettori del regime (Russia, Iran con i suoi satelliti di Hezbollah e delle milizie sciite dell’Iraq), pur avendo basi e forze militare nel paese, non hanno tentato di resistere.

    Un cambiamento storico
    È un fatto storico. Il partito Baath controllava il paese dal 1961, la famiglia Assad ne aveva preso le redini nel 1970, prima col generale Hāfiẓ al-Asad, poi dopo la sua morte nel 2000 col figlio ed erede designato, Bashār al-Asad. Sotto la loro guida e quella dei loro predecessori la Siria era stata fra i nemici più pericolosi di Israele, partecipando a tutte le guerre contro lo Stato ebraico. Il suo esercito era temuto, nel ’73 solo l’eroica resistenza di un reparto carrista impedì alle truppe siriane di dilagare dal Golan in Galilea, fino a Haifa. Per un lungo periodo la Siria degli Assad esercitò un potere di fatto anche sul Libano. Poi l’inefficienza e la corruzione del regime e il fatto di essere basato sulla minoranza religiosa degli alawuiti (più simili agli sciiti dell’Iran che alla maggioranza sunnita) produsse una forte resistenza che fra il 2011 e il 2016 divenne rivolta e guerra civile. Questa fu repressa da Assad con atroce violenza, anche con l’uso di gas contro le città ribelli, nonostante la velleitaria opposizione di Obama. Alla fine il regime riuscì a stare il piedi, ma solo grazie all’aiuto militare di Russia, Iran e Hezbollah. Larghe zone del paese restavano fuori controllo, presidiate dai curdi appoggiati dagli americani e dai sunniti sostenuti dalla Turchia.

    Il doppio rovesciamento strategico
    Il regime però era diventato un satellite dell’Iran e la base militare mediterranea della Russia. Per l’Iran, la Siria era l’anello centrale del suo progetto di un “ponte terrestre” fra il territorio persiano e il Mediterraneo e di un “anello di fuoco” mirato a distruggere lo Stato di Israele. Per la Russia era il punto di partenza per conservare e restaurare il potere che l’URSS aveva avuto nel Mediterraneo e nell’Africa. Entrambe queste grandi strategie imperialiste oggi sono crollate, per merito esclusivo di Israele. È stato lo smantellamento di Hezbollah e la distruzione delle difese aeree dell’Iran che hanno permesso ai ribelli di prendere l’iniziativa e di vincere. Gli ayatollah iraniani che pensavano il 7 ottobre del 2023 di dare il via alla distruzione dell’“entità sionista” ora si ritrovano con la liquidazione dei principali satelliti (Hamas e Hezbollah) che avevano addestrato, finanziato, armato e con l’instaurazione di un potere nemico nel paese centrale del loro progetto geopolitico, che avevano pure sostenuto con armi, finanziamenti, soldati. È un fallimento sostanziale, il crollo di un progetto decennale che ha impegnato centinaia di miliardi di dollari, tutto il potere militare e politico degli ayatollah: un crollo che potrebbe avere echi importanti anche dentro l’Iran. La Russia ha subito pure una sconfitta durissima, che mostra il costo enorme della guerra in Ucraina, che ha consumato le sue forze.

    La prospettiva di pace
    C’è ora una possibilità di pace per il Medio Oriente, condizionata però alla distruzione (negoziata o armata) del progetto nucleare dell’Iran e al problema del panturchismo che diventa improvvisamente di attualità. La vittoria dei ribelli siriani è stata infatti sostenuta logisticamente e politicamente dalla Turchia, che ha ambizioni imperiali neo-ottomane sull’Asia centrale, sul Mediterraneo e sul Medio Oriente, con toni sempre più aggressivi nei confronti di Israele. Bisognerà anche vedere se il nuovo regime siriano manterrà la faccia non aggressiva che ha ostentato finora, in particolare nei confronti di Israele, ma anche dei curdi. Israele si è preparata a tutti i possibili scenari, rafforzando il dispositivo militare nel Golan e occupando anche delle posizioni difensive nella fascia smilitarizzata tra il suo confine e quello siriano. Ma la sconfitta del tentativo imperialista iraniano apre comunque una finestra di pace possibile.

    Una vittoria per Israele
    Questi sviluppi hanno un grande significato per Israele. È chiaro che la strategia della guerra fino alla vittoria sostenuta dal governo Netanyahu contro il freno dell’amministrazione Biden e anche di importanti forze interne (l’opposizione di sinistra, ma anche parte dell’apparato militare e dei servizi) ha pagato. Israele potrebbe uscire da questa guerra con una vittoria militare che significa un sostanziale ridimensionamento dei suoi nemici, e – nella logica politica mediorientale – la possibilità di consolidare i rapporti con il mondo sunnita, in particolare con l’Arabia Saudita. Per concludere la terribile pagina di storia aperta dal pogrom del 7 ottobre, Israele deve però ottenere la liberazione dei rapiti, eliminare del tutto la struttura militare di Hamas e Hezbollah e soprattutto liquidare la minaccia nucleare iraniana. È probabile che con la presidenza Trump questi obiettivi siano a portata. Sarebbe una vittoria per tutto il mondo libero, ottenuta nonostante la freddezza di buona parte della politica europea e americana, in particolare dei suoi settori che a torto si dicono progressisti.

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