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    Una comicità italiana da reinventare

    La vicenda dello sketch di Pio e Amedeo ha aperto un fiume di polemiche. Dopo la Presidente della Comunità Ebraica di Roma Ruth Dureghello e la nostra intervista a David Parenzo, sono state molte le voci a stigmatizzare una satira che ripropone antichi e pericolosi stereotipi e pregiudizi, che possono diventare il preludio della violenza razzista e antisemita.

     

    La dinamica dello sketch rivela in realtà il punto debole di una parte della satira italiana (esempi analoghi nel passato non mancano) e di un certo tipo di pubblico, ovvero l’incapacità di reinventarsi. Gli affondi della coppia sugli afroamericani, sugli ebrei, sugli omosessuali, dimostrano come nel nostro paese troppo spesso si guardi al passato, rivangando stereotipi contro i quali popoli, gruppi e singoli si sono battuti per demolirli, luoghi comuni che a troppe persone nella storia sono costati la vita stessa o un’esistenza di discriminazione. Quando i comici dicono “l’avarizia appartiene agli ebrei, scherziamoci su” tentano di sdoganare modelli sbagliati e superati dalla storia, cercando probabilmente un approccio dissacrante che possa tamponare una carenza di creatività, linfa vitale della satira e della comicità. Sollevato da uno scroscio di applausi, ostentando un anacronistico quanto farsesco atteggiamento di chi crede di aver rotto chissà quale tabù e stretto nuovamente un patto con il pubblico, Pio dice a chiosa dello sproloquio pseudo satirico “menomale che la gente ha capito”. La gente ha capito? Forse, ma il fatto che i luoghi comuni razzisti incontrino il consenso del pubblico, significa che gli italiani debbono ancora pescare stereotipi vecchi e resuscitarli per ridere di fronte ad una comicità ormai più che ammuffita, marcia. I numeri dello share di venerdì sera avranno fatto gioire i vertici della rete, ma dimostrano che la volgarità e lo stereotipo razzista fa ridere una buona parte degli italiani. Lo sketch di Felicissima Sera dunque dovrebbe far riflettere i comici italiani (e non solo), sull’opportunità di reinventare una comicità e una satira nuova, tagliando le radici con ciò che c’è di marcio nel passato.

     

    C’è un esempio virtuoso israeliano del reinventarsi, che affonda le radici in un passato tutt’altro che marcio ma semmai rigoglioso e glorioso e dimostra come una sana satira possa creare nuovi modelli, adattandosi ai tempi che cambiano. La storia è nota: quando agli albori dello Stato d’Israele arrivarono dall’Europa Orientale i comici in lingua Yiddish, questi si trovarono ad affrontare una situazione del tutto nuova. La lingua ebraica e una nuova società da cui disegnare personaggi, sketch e spettacoli. Ci volle del tempo, fu faticoso, ma ci riuscirono, dando vita ad una nuova satira, attraverso la capacità di inventare, creare, appresa in Europa. E fu un successo, lo racconta la storia del cinema e del teatro israeliano.

     

    La brutta vicenda di Pio e Amedeo ci racconta ancora una volta che quando c’è l’incapacità di creare qualcosa di nuovo e di abbandonare modelli sbagliati e superati, significa che assistiamo ad un cortocircuito, a una marcia indietro che va incontro al passato per trovare un facile consenso. Questa vicenda, e la polemica che ha suscitato, dimostra ancora una volta l’esigenza di abbandonare la parte marcia della comicità italiana per andare verso nuove direzioni.

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