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    UN CORRIERE PRECONCILIARE

    La cultura di sinistra ha tradizionalmente difficoltà a misurarsi con le differenze, quali che siano: di condizione storica, di tradizione religiosa, di ethos privato nei comportamenti e nelle abitudini. Affermazione che può davvero suonare pericolosamente eretica, in quanto si è soliti attribuire alla sinistra apprezzamento per tutto ciò che risulti tendenzialmente alternativo, se non perfino deviante, rispetto ai valori e alle strutture sociali dello sfruttamento e del dominio. Tuttavia in epoche non lontanissime soltanto Alberto Moravia e Carlo Bo osarono sfidare pubblicamente il conformismo di sinistra per difendere Pier Paolo Pasolini dalle accuse di oscenità. Oggi lo leggiamo in tutti gli istituti di istruzione secondaria superiore. In realtà la storia della Rivoluzione francese e poi dei movimenti e dei partiti novecenteschi, insegna che le rivoluzioni nascenti tollerano, incoraggiano, sostengono proteste e devianza. Ma in attesa di uniformare e omologare. La incapacità di comprendere davvero la differenza ebraica è ricorrente e inquietante nel pensiero di tutte le sinistre in Europa e in America, animate peraltro da stuoli di intellettuali ebrei in perenne lite con sé stessi. La “ebreità” diviene paradigma di ciò che è diverso in modo non riducibile. Chi non si assimila e omologa, si fa automaticamente portatore di instabilità, alfiere della reazione. Che cento fiori sboccino, perché se ne dovranno recidere novantanove. Naturalmente del maoismo preferiamo l’altra affermazione: non importa il colore del gatto, basta che acchiappi i topi. Questa introduzione spero sia utile per non stupirsi più del necessario di fronte all’inevitabile ripetersi di antiche tragedie che diventano farsa. Quel che resta della sinistra, sedicente o presunta tale, può invece ridursi a impartire lezioni di catechismo preconciliare sulle pagine del quotidiano più autorevole e serio, talora anche serioso in certi editoriali di prima pagina. Però quel catechismo appariva destinato alla piccola borghesia in attesa del boom postbellico, e fu ben presto relegato da Giovanni XXIII negli scantinati del Vaticano. Il papa sapeva benissimo che il catechismo tridentino della Riforma cattolica era stato indispensabile per fronteggiare l’attacco dei protestanti. Cose serie, insomma, e ben diverse da certe moderne rimasticature. La ricerca ad ogni costo della parità di genere induce poi il circo mediatico a privilegiare incursioni e interventi di qualsivoglia provenienza. Magari per buon peso, e forse anche per stupire con i botti di capodanno. Più che doloroso stupore, leggendo nel “Sale sulla coda” rubricato sul Corsera con una firma di rispetto, si dovrebbe esprimere l’esortazione a documentarsi meglio sugli ebrei, gli ebrei delle origini e infine i contemporanei, per tornare poi allo studio delle proprie radici cristiane e cattoliche, se eventualmente se ne possiedano ancora. Definire la tradizione ebraica come “severa e vendicativa religione dei padri” significa non soltanto ignorare il Concilio ma soprattutto quei passi dei Vangeli in cui il “giovane uomo” ricorda che nemmeno uno iota (una jod) delle Scritture e della Legge (cioè la Torà) dovrà essere cambiato, tanto più che per tutta l’eternità “non passerà questa generazione”, cioè il popolo d’Israele e le sue tradizioni durerannno per sempre. Magari al Corsera qualcuno di adeguate letture, ancorché nato e formato in un paese che non conosce la Bibbia, potrebbe ricordarsene. Una simile farcitura di banalità e luoghi comuni avrebbe difficilmente ricevuto l’imprimatur della Congregazione dell’Indice ai tempi del cardinale Bellarmino e del secondo processo ai dialoghi di Galileo. Scripta manent.

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