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    ”Sull’attentato del 9 ottobre ’82 non ci fermiamo e chiediamo verità” – Intervista ad Emanuele Fiano

    Dopo le recenti rivelazioni sull’attentato del 9 ottobre ’82 alla Sinagoga di Roma, Emanuele Fiano, deputato del Partito democratico, e figlio di Nedo, sopravvissuto ed instancabile testimone della Shoah, ha firmato un’interrogazione parlamentare per scavare nella verità di quel terribile giorno, e per trovare risposte alle inquietanti domande di quasi quarant’anni. “E’ nostro dovere chiedere che il parlamento possa investigare” ha detto Emanuele Fiano, che Shalom ha intervistato.

     

    Si può chiedere e avere la verità dopo quasi 40 anni dall’attentato alla Sinagoga di Roma del 9 ottobre ‘82?

     

    Chiedere la verità è d’obbligo, ricercarla è d’obbligo, averla… speriamo. La storia d’Italia è piena di misteri insoluti, in particolare sugli intrecci con il terrorismo, sulle stragi di vario tipo a partire dalla fine degli anni ’60 in poi. E’ nostro dovere chiedere che il parlamento possa investigare, e chiedere, ovviamente anche con l’ausilio del governo, se sarà il caso, la desecretazione di documenti eventuali, perché quanto è stato scoperto negli archivi di Stato “grida dalla terra”.

     

    In realtà i documenti ritornati alla luce arrivano da fonti aperte. Si tratta di documenti già desecretati, che adesso sono stati letti con attenzione. E’ possibile che ci sia stata trascuratezza?

     

    Non è l’unico caso purtroppo. Noi siamo colpiti da un particolare, ovvero dalla possibilità che questi documenti dimostrino che la comunità ebraica di Roma è stata scientemente lasciata sola il 9 ottobre del 1982 dalle forze dell’ordine. Questo fatto di essere lasciati soli, dopo la Shoah, nella comunità ebraica più antica del mondo, e che più di ogni altra comunità in Italia ha pagato un prezzo alla Shoah, ha un rilievo molto particolare. Oltre tutto in un periodo in cui c’era stato l’episodio terrificante della manifestazione sindacale durante la quale era stata lasciata una bara davanti al Tempio Maggiore. Dunque questa vicenda per noi ha delle caratteristiche particolari. Come sia stato possibile è una domanda che appartiene a molte vicende non spiegate fino infondo dello Stato, della storia del Paese. In questo caso specifico la cosa terribile, e che noi vogliamo sapere, è chi non ha agito e perché. E capire se sullo sfondo ci fosse il rapporto che a partire dall’inizio dagli anni ’70 fino all’inizio degli anni ’80 i governi italiani hanno intrattenuto con le organizzazioni palestinesi, anche quelle terroristiche, in un accordo che permetteva loro di utilizzare l’Italia come piattaforma logistica e organizzativa in cambio di una non belligeranza nei confronti degli italiani, per  avere indietro una politica di appoggio del governo italiano ad alcune organizzazioni. Questo è lo sfondo che ho chiamato in un’altra intervista il “Lodo insanguinato”. Noi vogliamo sapere se qualcuno ha messo la vita di un bambino, Stefano Gaj Tachè, ucciso nell’attentato, e in generale della comunità ebraica di Roma, sul piano di un accordo internazionale.

     

    Quanto pesa una pagina di storia irrisolta come il 9 ottobre ’82 nella storia di un paese democratico come l’Italia?

     

    Pesa come tutte quelle volte che scopriamo che ci sono parti dello Stato che agiscono in maniera disumana. Ogni volta che la storia di questo paese è stata piegata ad interessi disumani e cinici, a intrecci, a scambi, noi abbiamo avuto un ritardo, una grande ferita, della democrazia. La scoperta di recente sull’attentato appartiene a questa categoria. La cosa più terribile sarebbe scoprire, forse, che pezzi dello Stato si sono mossi in quella direzione. Una parte dello Stato no, perché aveva avvisato del pericolo. Ma non solo, anche le comunità, anche Tullia Zevi, avevano avvisato. Una parte simbolica più violenta di questa vicenda è che gli ebrei pensavano che dopo il 16 ottobre del 1943, dopo Auschwitz, dopo il fascismo, ci fosse un’attenzione e un amore verso la comunità ebraica italiana, in particolare verso quella di Roma: pensavano che sarebbero stati difesi, e considerati con fratellanza e solidarietà. E invece qui c’è la scoperta di qualcosa di diverso, di atroce, questo sentimento evidentemente non abitava in tutti. Poi c’è una dimensione di questa vicenda che riguarda l’influenza di ciò che accadeva in Israele in quegli anni sullo Stato italiano. La strage di Sabra e Chatila, perpetrata dai cristiano-maroniti, di cui furono accusati gli israeliani, produsse un’immersione culturale che cancellava l’esecrazione che aveva determinato la Shoah e il Sabato nero, riportando invece in luce gli aspetti più profondi e radicati dell’antisemitismo. Adesso la situazione è radicalmente cambiata, anche il senso di solidarietà nei confronti dello Stato d’Israele. Ma allora un clima così terribile di inversione della storia, probabilmente ha permesso a qualcuno di pensare che l’accordo con i palestinesi potesse far valere un abbandono degli ebrei. Parlo per ipotesi, perché non so esattamente cosa sia successo e perché.

     

    Quali saranno le prossime azioni? E cosa può fare il Copasir?

     

    Abbiamo avviato un’azione parlamentare ordinaria, con un’interrogazione, in modo che il Ministero dell’Interno possa verificare nei propri archivi, nei documenti aperti, cosa successe. Il Copasir, di cui io ho fatto parte, ha poteri straordinari, fa un lavoro coperto da segreto, ha il diritto di convocare chiunque, magistrati, servizi segreti, militari, forze dell’ordine, membri e capi del governo, dunque è in grado di ricostruire cosa successe dopo quelle segnalazioni formali del Sisde, dopo le segnalazioni di Tullia Zevi e della comunità ebraica, e perché si decise quel giorno di lasciare scoperta la Sinagoga. Qualcuno potrebbe pensare che è stata una terribile sciatteria, ma oltre a questo c’è altro, come il fatto che Al Zomar, l’unico identificato e condannato in contumacia, era persona attenzionata già prima dell’attentato per una serie di vicende. Sono tutte domande che necessitano un’inchiesta di un certo tipo, che può chiedere ai servizi di scendere nel dettaglio, nella profondità dei loro archivi. Questo è quello che ci aspettiamo e che chiediamo con forza.

     

    Dunque non vi fermerete.

     

    Noi non ci fermeremo, lo abbiamo imparato dai nostri genitori.

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