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    Sukkòt. La succà e il Bet Ha-Mikdàsh

    Durante la festa di Succòt, alla fine della birkàt ha-mazòn, la benedizione dopo il pasto, si inserisce una preghiera che dice: “Il Misericordioso eriga per noi  la capanna (succà) cadente di David”.  Con queste parole si chiede all’Eterno di riscostruire il Bet Ha-Mikdàsh, denominato “la capanna di re Davide”.

    R. Daniel Glatstein, rav della comunità Ahavat Israel di Cedarhurst, New York, chiese per quale motivo proprio durante la festa di Succòt si inserisce una preghiera per la ricostruzione del Bet Ha-Mikdàsh nella benedizione dopo il pasto, cosa che non si fa per nessun’altra festività.

    Per rispondere alla domanda, R. Gladstein cita R. Meir Simcha Hakohen (Lituania,1843-1926, Riga-Lettonia) che in Meshekh Chokhmà fa notare che nella Torà è scritto che di Pèsach si fa riferimento al Bet Ha-Mikdàsh con queste parole: “E farai  l’offerta del sacrificio di Pèsach all’Eterno tuo Dio con ovini e bovini nel luogo nel luogo che l’Eterno sceglierà come residenza per il suo santuario” (Devarìm, 16:2).  Per la festa di Shavu’òt è scritto: “…nel luogo che l’Eterno tuo Dio sceglierà come residenza del suo santuario”(ibid., 11). Per Succòt è invece scritto: “…nel luogo che l’Eterno sceglierà” (ibid., 15).  Qual è il motivo per cui riguardo alla festa di Succòtvengono omesse le parole “come residenza per il suo santuario”? Queste parole indicano che lo scopo del Bet Ha-Mikdàsh è di avere un luogo dove, se così si può dire, dimori la presenza divina. Per quale motivo non è scritto per quale scopo l’Eterno ha scelto un luogo per la festa di Succòt?

    R. Shemuel Bornsztain (Kotzk, 1855-1926, Otwock), autore dell’opera Shem Mi-Shemuèl suggerisce che la succà è un microcosmo del Bet Ha-Mikdàsh. Per sette giorni all’anno abbiamo la possibilità di abitare in un luogo che è come un piccolo Bet Ha-Mikdàsh. E nello stesso modo in cui vi è una presenza divina nel Bet Ha-Mikdàsh, vi è una presenza divina anche nella succà. Una prova di questa affermazione viene dallo Shulchàn ‘Arùkh di R. Yitzchàk Luria, detto Arizal, (Gerusalemme, 1534-1572, Safed) nel quale egli scrive che così come nel Bet Ha-Mikdàsh, il tavolo del pane era a sud e la menorà a nord, cosi pure bisogna fare nella succà.

    R. Yitzchàk Hutner (Varsavia, 1906, 1980, Gerusalemme) spiega che questo è il motivo per cui nella Torà quando si parla della festa di Succòt non vengono usate la parole “come residenza per il suo santuario”. Di Succòt il luogo in cui risiede la presenza divina non è il Bet Ha-Mikdàsh bensì lo è la succà. La mitzvà della succà è l’unica dalla quale alla fine della sua osservanza dopo sette giorni ci congediamo da essa; così come nel Bet Ha-Mikdàsh non si tornava a casa immediatamente ma bisognava passare la notte a Gerusalemme, anche per la succà abbiamo una dichiarazione formale di congedo.

    R. Moshè  Isserles (Cracovia, 1530-1572) nello Shulchàn ‘Arùkh (667, 1) scrive: “C’è chi usa dire quando si esce dalla succà: sia volontà che possiamo avere il merito di abitare nella succà del leviatan”.  

    R. Glatstein conclude che questo è il motivo per cui di Succòt abbiamo una preghiera speciale di ricostruire la capanna cadente di re Davide. Dopo avere abitato per sette giorni nel microcosmo del Bet Ha-Mikdàsh chiediamo che il reale Bet Ha-Mikdàsh venga ricostruito.

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