L’immagine di Silvia Romano che, lasciandosi alle spalle 535 giorni d’incubo, scende dall’aereo con indosso un jilbab verde è forse il maggior successo propagandistico degli Al Shabaab somali. Come ha scritto Domenico Quirico, l’inviato della Stampa che ha vissuto di persona l’esperienza del sequestro, in quell’abito verde – il colore dell’Islam – che la cooperante «non ha voluto lasciare dietro, c’è il mondo dell’islamismo radicale con i suoi codici le sue parole d’ordine i territori segreti l’incubo dei predicatori che sanno ispirare l’animo alla follia, (ah poveretti, voi non sapete quanto sono abili in questo), la sua manovalanza e suoi gerarchi».
Perché la vicenda di Silvia Romano, e il suo esito, danno ad Al Shabaab un riconoscimento fin qui mai ottenuto. L’immagine di una ragazza occidentale, sorridente dopo aver passato 18 mesi in ostaggio, che dichiara di essersi convertita senza costrizione e che anzi fa sapere di essere stata trattata bene dai suoi carcerieri, conferisce al gruppo jihadista somalo una (falsa) immagine quasi compassionevole.
C’è poi l’aspetto economico, con un riscatto milionario quasi certamente incassato – e poco cambia che siano i quattro milioni ipotizzati da Fiorenza Sarzanini sul Corriere della Sera o il milione e mezzo di cui parlano Stampa e Messaggero. Soldi che si vanno ad aggiungere ai proventi dei taglieggiamenti e dei sequestri che il gruppo ha compiuto con regolarità in questi anni e che hanno costretto i jihadisti ad aprire decine di banche nel quartiere somalo di Nairobi, solo per investire i soldi entrati nelle loro casse.
Nato nel 2006 dopo la sconfitta dell’Unione delle corti islamiche, oggi Al Shabaab conta almeno seimila uomini, forse diecimila, guidati da Ahmed Oumar Dirieh, detto Abu Ubaydah, che ha preso il posto di Ahmed Abdi Godane (alias Mukhtar Abu Zubair), ucciso in un raid di un drone americano nel 2014. Rispetto a gran parte delle fazioni jihadiste africane, ha aderito ad Al Qaeda nel 2012, mantenendo però sempre una certa autonomia. Dal 2008 è nella lista statunitense delle organizzazioni terroristiche. Il gruppo che professa la sharia si è radicato in gran parte della popolazione somala grazie a un governo, un fisco, sistemi scolastico e giudiziario paralleli a quelli di Mogadiscio. Ma Al Shabaab non colpisce solo in Somalia. Negli anni ha dimostrato di sapere agire con efficacia anche oltre confine, come dimostrano le ripetute prese d’ostaggio in Kenya. Tra gli attentati più sanguinosi, quello dell’aprile 2015 contro un campus universitario in Kenya, quando persero la vita 147 persone, e quello del dicembre 2018 quando un’autobomba che a Mogadiscio causò 85 morti.
In un momento in cui l’Isis è impegnato in Iraq a riconquistare terreno e potere, i talebani sono divisi nella trattativa con gli Stati Uniti e Al Qaeda è ancora priva di un leader, con il rapimento e il rilascio della cooperante italiana che ora si fa chiamare Aisha Al Shabaab si è conquistato un posto da protagonista al tavolo del jihadismo mondiale.