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    Parashà di Nòach. La colomba, dal Monte Ararat alla Babilonia

    Il Diluvio era cessato. “E nel settimo mese, nel diciassettesimo giorno del mese, l’arca si fermò sulle montagne di Ararat. E le acque andarono scemando fino al decimo mese. Nel decimo mese, il primo giorno del mese, apparvero le vette dei monti. Al termine di quaranta giorni, Noè aprì la finestra che aveva fatto nell’arca, e mandò fuori il corvo […]. Poi mandò fuori la colomba, per vedere se le acque fossero diminuite sulla superficie della terra” (Bereshìt, 8:4-8).

    R. ‘Ovadià Sforno (Cesena, 1475-Bologna, 1550) spiega che Noach mandò fuori il corvo per vedere se, dopo che le cime delle montagne erano diventate visibili, l’atmosfera fosse diventata sufficientemente asciutta e sopportabile.

    Nel Talmud babilonese (Sanhedrin, 108b) R. Shim’on ben Lakish afferma: “Il corvo diede una risposta vincente a Nòach quando gli disse: il tuo Maestro [il Santo Benedetto] mi odia e tu mi odi. Il tuo Maestro mi odia [perché ti ha detto di prendere nell’arca] sette [tra gli animali] puri [tra i quali i colombi] e due dai non puri [tra i quali i corvi]. Tu mi odi perché hai lasciato [nell’arca] la specie di cui ve ne sono sette e mandi la specie di cui ve ne sono solo due. Se mi viene un colpo di sole o di gelo, nel mondo ne rimane uno solo di noi”.

    Rashì  (Troyes, 1040-1105) scrive che Nòach aspettò sette giorni e poi mandò fuori la colomba senza alcuna missione. La mandò libera e se avesse trovato un luogo dove posarsi e non fosse tornata, Noach avrebbe avuto prova libera che l’acqua era scemata.

    R. Eli’ezer Ashkenazi (Italia, 1513-1585, Cracovia) che fu rav a Cremona, in Ma’asè Hashem (Ma’asè Bereshìt, cap. 26) scrive che il corvo non si allontanò molto dall’arca perché, a differenza della colomba, non avrebbe saputo ritrovare l’arca se fosse volato lontano. Lo dimostra il fatto che “fino ad oggi” nei paesi d’oriente quando si vuole mandare una lettera da una città all’altra si usano i piccioni viaggiatori della città di destinazione. Ed è possibile che la capacità delle colombe di tornare al nido da grandi distanze l’abbiano imparata proprio da quello che fece Nòach.

    Il popolo d’Israele è paragonato alla colomba. Nel Shir ha-Shirìm (Cantico dei Cantici, 2:14) è scritto: “O mia colomba, che stai nelle fenditure della roccia, nei nascondigli dei dirupi […]”. Rashì commenta: “Questo versetto allude a quando gli israeliti venivano inseguiti dal Faraone che li raggiunse mentre erano accampati vicino al mare, senza possibilità di scampo e assomigliavano a una colomba che fugge da un falco e si rifugia tra gli spacchi delle rocce…”.  Più in la è scritto (ibid., 6:9): “Ma unica è la mia colomba la mia perfetta, ella è l’unica di sua madre, la preferita della sua genitrice […]”.  Rashì commenta: “La colomba è fedele al suo partner” come il popolo d’Israele è fedele all’Eterno.

    La colomba riappare nelle parole del navi (profeta) Yermiyà (Geremia, 25:38) che dice: “Il leone abbandona la sua tana, poiché il loro paese è una desolazione a causa della spada della colomba e a causa della sua ira ardente”. Chi è questa colomba armata di spada?

    R. Meir Leibush Wisser (Ucraina, 1809-1879) detto Malbim, spiega che il profeta Yermiyà allude a Nevuchadnetzar, re di Babilonia, la cui bandiera, presa dal regno di Assiria da lui conquistato, aveva il disegno di una colomba.

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