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    Parashà di Ki Tavò. Quando la Torà venne scritta sulle pietre

    In questa parashà Moshè comanda ad Israele di scrivere la Torà su grandi pietre e, dopo aver passato il fiume Giordano ed essere entrati nella terra di Canaan, di piazzarle sul monte di ‘Evàl, con queste parole: “Nel giorno in cui passerete il Giordano per entrare nel paese che l’Eterno, tuo Dio, ti dà, dovrai erigere delle grandi pietre e intonacarle di calcina. Poi quando attraverserai il Giordano, scriverai su di esse tutte le parole di questa Torà. In questo modo verrai nella terra che l’Eterno, tuo Dio, ti dà, la terra dove scorre il latte e il miele, come l’Eterno, Dio dei tuoi padri, ti ha promesso. Quando avrete passato il Giordano, erigerete le pietre che vi descrivo ora, sul monte ‘Evàl, e le intonacherete di calcina (Devarìm, 27:2-4) […]. E scriverai su quelle pietre tutte le parole di questa legge, in modo che possano essere chiaramente capite (ibid, 8).

    In questo passo l’ordine di scrivere e di erigere le grandi pietre è scritto due volte. R. Naftalì Tzvi Yehudà Berlin (Belarus, 1816-1893, Varsavia) nel suo commento Ha’amèk Davàr, spiega che una scrittura era destinata ai figli d’Israele “affinché entrassero nella terra”, e la seconda era destinata alle settanta nazioni del mondo, tradotta in altrettante lingue.

    R. Eliyahu Benamozegh (Livorno, 1823-1900) in Em La-Mikrà scrive che in tutta la storia del popolo d’Israele questa è la sola volta in cui vi è un comando di scrivere la Torà su delle pietre. Egli suggerisce che i cananei usavano fare una cosa simile scrivendo sulle pietre le loro leggi. Così i figli d’Israele entrando nella terra promessa scrissero la Torà su delle grandi pietre. Nella sua opera  Cinque Conferenze sulle Pentecoste (pp. 63-65) r. Benamozegh afferma che il testo scritto sulle pietre era la lista delle 613 mitzvòt sullo stile delle azharòt di Shelomò Ibn Gavirol (Malaga, XI sec, Valencia ) che si leggono la notte di Shavu’òt, e non tutto il testo della Torà per il quale “le piramidi sarebbero state appena sufficienti per servire di materia questo gran libro”. E, come menzionano i maestri nel trattato talmudico Sotà (35b), la nazioni confinanti mandarono i loro scribi a copiare i testi scritti sulle pietre per “erudirsi nella dottrina mosaica”.    

    R. Shimshon Rafael Hirsch (Amburgo, 1808-1888, Francoforte) nel suo commento alla Torà  spiega che lo scopo delle pietre era duplice. Le pietre dovevano essere preparate prima di passare il fiume Giordano e in virtù di questa azione sarebbero entrati nella Terra Promessa perché la terra veniva data loro a condizione che osservassero la Torà. Lo scopo di presentare la traduzione della Torà su delle grandi pietre era che anche le nazioni del mondo potessero venire a conoscerne il contenuto. Questo perché fin dall’inizio della sua storia la missione del popolo d’Israele era quella di portare all’elevazione spirituale e morale di tutta l’umanità. Questa missione doveva iniziare con l’entrata della Torà nella terra d’Israele. I maestri nel Talmud babilonese (Sotà, 35b), affermano che la traduzione della Torà comprendeva il motivo per l’espulsione della nazioni dei Canaaniti, come scritto in precedenza (Devarìm, 20:18): “Affinché non vi insegnino a commettere le abominazioni che facevano ai loro dei…”.  Questo motivo veniva portato all’attenzione di queste nazioni, per far capire loro che sarebbero stati espulsi solo se avessero perseverato nel loro stile di vita politeistico. Nel passo talmudico citato, R. Shim’on afferma che dal versetto di Devarìm si impara che se i Canaaniti avessero fatto teshuvà  e avessero abbandonato le loro abominevoli pratiche idolatriche, sarebbero stati accolti favorevolmente e nulla avrebbe impedito loro di rimanere nella terra.

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