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    L’ultima opzione di Israele per difendersi dall’armamento atomico dell’Iran (se le cose non cambiano…)

    Ormai è diventata molto concreta la possibilità che Israele debba presto difendersi da solo dall’armamento nucleare dell’Iran, che secondo il giudizio generale è questione di mesi, se non di settimane. Si tratta di una decisione difficile alla quale lo Stato Ebraico, vista la situazione, potrebbe essere costretto a prendere. Le trattative atomiche degli Usa con l’Iran a Vienna stanno andando verso il fallimento. L’Iran dichiara continuamente di voler “eliminare l’entità sionista dalla carta geografica”. La bomba atomica renderebbe più o meno inutile la superiorità tecnologica e militare di Israele, perché ogni volta che Israele prevalesse sul terreno, gli ayatollah potrebbero minacciare il bombardamento nucleare. La difesa contro un pericolo del genere può dunque essere solo preventiva. Come ha fatto con l’Iraq e con la Siria, Israele si sta ponendo il problema di distruggere l’atomica iraniana prima che nasca.

     

    Ma come fare? L’Iran ha dieci volte la popolazione di Israele e ottanta volte la sua estensione. Ha inoltre imparato dal passato e si è sforzato di costruire il suo apparato militare in bunker o sotto le montagne. I problemi tecnici e le opportunità sono spiegati in un dettagliato articolo di Yoav Limor, il più esperto giornalista militare del primo quotidiano israeliano per diffusione, Israel Hayom, e questo rende ancor più autorevole la sua voce.

     

    Il processo di pianificazione è lungo e non è terminato, anche se l’esercito israeliano ci sta lavorando “febbrilmente”. Ha dichiarato un alto ufficiale a Limor: “Non ci sarà una situazione in cui qualcuno prende una decisione e 24 ore dopo ci sono aerei a Teheran. Avremo bisogno di molto tempo per preparare il sistema per la guerra, perché la nostra ipotesi di lavoro deve essere che questo non sarà un attacco, ma una guerra.”

     

    Innanzitutto c’è un allenamento degli aerei e i piloti, che dovranno operare a grande distanza, con rifornimenti in volo. Le esercitazioni, già annunciate, servono anche a rendere più difficile l’individuazione in anticipo dell’attacco perché moltiplicano le occasioni di decolli in massa e preparazioni tecniche, che oggi, con le nuove tecnologie, non possono passare inosservate. Vi dovrà essere anche uno sforzo di intelligence per aggiornare gli obiettivi e una preparazione delle forze di terra cui toccherà fermare gli attacchi di reazione che potrebbero arrivare da Libano, Siria, Gaza e Cisgiordania. Sarà anche necessario il rifornimento completo dei proiettili di Iron Dome, che Israele attende dagli Stati Uniti. E sempre dagli Stati Uniti, vi è il problema degli aerei di rifornimento per i bombardieri, che Israele ha ordinato, ma per la cui consegna rapida manca il consenso della Presidenza. Di recente si è parlato dell’arrivo in Israele di altri aerei del genere, forniti da altri stati

     

    Un’altra questione da risolvere è quello della decisione politica di intraprendere l’attacco, che dovrà essere presa da un gabinetto ristretto, dopo aver informato il capo dell’opposizione. Il problema è che il governo attuale ha al suo interno l’estrema sinistra e il partito arabo vicino alla Fratellanza Musulmana, che hanno più volte dichiarato la loro contrarietà, minacciando addirittura di far cadere il gabinetto in caso di operazioni militari, anche assai più piccole di quella contro l’Iran. Bisogna prevedere la loro sostituzione con l’attuale opposizione, in un governo di unità nazionale.

     

    La questione non militare più delicata è però la preparazione diplomatica. Naturalmente Israele non potrà condividere con nessuno (salvo forse con gli americani) il momento e le modalità operative della sua azione, ma dovrà comunque prima discuterne con le maggiori potenze mondiali e anche con gli interlocutori arabi non apertamente nemici, avvertendoli della possibilità operativa. Senza dubbio dopo l’attacco bisogna prevedere reazioni pubbliche molto dure di condanna da parte di tutti, ma la realtà sul piano operativo potrà essere un po’ diversa e migliore. Vi saranno collaborazioni più o meno tacite e segrete da parte di alcuni, per esempio i paesi del Golfo Persico; posizioni neutrali di altri, come forse la Turchia, attenta a trarre vantaggi; atteggiamenti dubbi, come quelle degli Usa e in qualche modo anche della Russia, protettrice dell’Iran ma certamente preoccupata di non cedergli troppo spazio. Entrambe queste potenze verranno a sapere subito del tentativo, informati dai loro satelliti E così la Cina, che è un’altra incognita. Si tratta di capire se avvertiranno l’Iran o addirittura interverranno attivamente. E ci saranno naturalmente nemici politici, sia fra gli stati che fra i movimenti, che penseranno a punire Israele per la sua ostinazione a difendersi. E’ probabile che molti di questi saranno in Europa e negli Usa, soprattutto a sinistra.

     

    Mentre organizza queste coperture diplomatiche e militari, Israele dovrà anche decidere che ampiezza dare all’attacco, se colpire solo gli impianti atomici, che sono l’obiettivo, o approfittare della sorpresa per disarmare il più possibile le armi offensive tradizionali dell’Iran: missili, aerei, navi, truppe di terra, per indebolire la possibile reazione. La pianificazione dell’azione in se stessa è estremamente difficile. Si tratta di capire se i molti aerei coinvolti saranno costretti a partire da Israele, sorvolando Giordania, Arabia o Siria; o se avranno punti d’appoggio in qualche paese arabo (magari nelle basi americane) o magari in Azerbaigian; bisognerà predisporre i rifornimenti, gli elicotteri e le navi per recuperare gli equipaggi eventualmente abbattuti. Prima dei bombardamenti veri e propri, che saranno probabilmente condotti con i bombardieri tradizionali come gli F-15, i più moderni ma meno numerosi F-35 “invisibili” dovranno accecare i radar iraniani e distruggere la loro contraerea. C’è il grande problema dei proiettilki capaci di penetrare i bunker e le caverne dove sono nascosti gli impianti atomici iraniani. E’ possibile che alla missione partecipino droni e anche missili sparati da sommergibili, magari spostati nei mari più vicini all’Iran, benché probabilmente essi saranno tenuti di riserva. E bisognerà contemporaneamente essere pronti a bloccare Hamas, Hezbollah e gli altri terroristi, a preparare il fronte interno, ad accumulare rifornimenti e strutture d’emergenza.

     

    Insomma, si tratta certamente della missione più complessa e ardita mai tentata dall’esercito israeliano, che pure di cose difficile ne ha fatte tante. E’ chiaro che una decisione del genere non sarà presa a cuor leggero, anzi sarà veramente l’ultima scelta in una situazione di assoluta necessità. Tutti, in Israele e nel mondo ebraico, speriamo che essa non sia necessaria. Ma l’esperienza, anche quella di Israele, insegna che di fronte a un pericolo chiaro e imminente, come sarebbe per Israele l’armamento nucleare iraniano, la sola difesa possibile è l’attacco preventivo. I prossimi mesi ci diranno se queste analisi, e i discorsi molto allarmati della politica israeliana, sono solo giustificate preoccupazioni e precauzioni, o qualcosa di più concreto.

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