Le istituzioni nascono, si sviluppano e si estinguono. Senza voler provare, non sia mai, a scomodare le teorie organicistiche, sta di fatto che ogni struttura giuridica vive una dialettica con la parte di società che amministra. Se tale infrastruttura sociale cambia oppure, se la sovrastruttura istituzionale si rivela inadeguata, il risultato può consistere in una vera e propria frattura oppure, fra altro, nell’inefficienza dell’istituzione, che conduce ad un difetto di rappresentanza. Tale dialettica, però, è ben lungi dall’essere perfetta, perché può agevolmente sovrapporglisi una seconda dialettica, costituita dal conflitto d’interessi fra istituzione e rappresentati, laddove chi detiene cariche e posizioni varie nelle istituzioni, per le più svariate ragioni, abbia un interesse a mantener lo stato delle cose. In tutti questi casi, un valido ausilio viene dal diritto comparato: se in altre società nazionali l’organizzazione fosse diversa, suonerebbe un ideale campanello d’allarme, che postulerebbe anzitutto una disamina delle eventuali differenze infrastrutturali a giustificazione dello scarto, in mancanza delle quali l’ipotesi di inadeguatezza dell’attuale assetto assumerebbe una sua validità.
Nel nostro caso, se esaminassimo l’assetto nostrano e lo comparassimo con quello di altri Paesi, troveremmo un po’ ovunque la tendenza a far governare l’ebraismo nazionale da un collegio di Presidenti anziché, come da noi, da un consesso di eletti dagli iscritti alle comunità.
I Presidenti di ciascuna Comunità Ebraica, per il solo fatto di essere tali, dovrebbero essere sufficientemente rappresentativi del loro collegio elettorale da non dover essere surrogati da Consiglieri appositamente eletti dalle loro Comunità, i quali danno vita a ciò che viene chiamato dall’Ucei stessa un ”parlamentino”, senza ponderare abbastanza il significato non certo esaltante del termine, costituito dalla creazione di un ennesimo e costoso ceto politico al posto di un esecutivo snello, per di più in un momento di grave disagio economico. Tanto più che i Presidenti di Comunità conoscono meglio di chiunque altro le problematiche dell’ebraismo e delle sue strutture.
Se l’Unione costituisce un raggruppamento di Comunità, perché disconoscere il potere rappresentativo dei loro Presidenti? Basterebbe un sistema che, a seconda della natura delle decisioni da adottare, attribuisse un numero di voti ponderato a seconda del numero d’iscritti a ciascuna Comunità. Si potrebbe anche valutare la possibilità, poi, di prevedere che i Presidenti possano eleggere a capo dell’Ucei una personalità terza, non Presidente di Comunità, le cui qualità intellettuali e morali ed il cui riconosciuto prestigio, unito ad una disponibilità di tempo per assolvere i molteplici impegni, possano consentire la miglior rappresentanza possibile.
Il sistema attuale, nel quale il numero degli elettori potrebbe anche essere minimo e non tarato sulla loro rappresentatività mediante apposito quorum, ha condotto ad un certo distacco fra la base ed il vertice e talvolta ad un vero e proprio malcontento. Vi è anche un problema di trasparenza, assieme a carenze funzionali, perché l’UCEI non ha come compiti statutari né quello di far fronte all’antisemitismo né quello di curare la stampa di periodici, i quali compiti sono invece devoluti dallo Statuto UCEI alle singole Comunità. Un vero e proprio assurdo che viene mantenuto anche nelle successive riforme come se fosse normale e fisiologico. Tutto ciò conduce ad avere Consigli che possono essere autoreferenziali e privi di funzioni reali, con una distribuzione di competenze fra Unione e Comunità contrassegnata da incertezze e da inevitabili violazioni sia dello Statuto che delle regole di sana amministrazione.
Anche se il problema vero dell’Italia è costituito dall’inefficienza delle sue strutture giuridiche e dai loro costi, non è detto che anche le istituzioni ebraiche debbano essere il loro specchio fedele, incuranti dell’interesse che sono chiamate a servire. S’impone una riforma dell’UCEI che sostituisca gli attuali Consiglieri con i Presidenti di Comunità e che aggiorni le funzioni dell’ente, inserendovi anche la stampa e la comunicazione radiofonica e televisiva, punto sul quale ci ripromettiamo di tornare. Sta alla sensibilità e alla cultura dei leader dell’ebraismo il compito di recepire queste ed altre istanze, necessariamente in tempi brevissimi, perché il mondo non si ferma ad attendere i nostri pur nobili comodi.