Skip to main content

Ultimo numero Novembre – Dicembre 2024

Scarica il Lunario 5785

Contatti

Lungotevere Raffaello Sanzio 14

00153 Roma

Tel. 0687450205

redazione@shalom.it

Le condizioni per l’utilizzo di testi, foto e illustrazioni coperti da copyright sono concordate con i detentori prima della pubblicazione. Qualora non fosse stato possibile, Shalom si dichiara disposta a riconoscerne il giusto compenso.
Abbonati







    Intervista all’Ambasciatore di Israele in Italia, Dror Eydar, ad un anno dal suo insediamento

     Sig. Ambasciatore è trascorso un anno dall’inizio della sua missione diplomatica in Italia. Un anno difficile per tutti, segnato dalla pandemia per Covid-19. Come vive questo momento e quali conseguenze le misure di separazione hanno portato nel suo lavoro?

    “All’inizio del mio lavoro da ambasciatore, avevo ancora un po’ di tempo per vivere l’Italia in giornate “normali” e questo fino a quando si è abbattuta su di noi la pandemia. I nostri saggi hanno detto nel Talmud che tre cose giungono all’uomo inavvertitamente: il Messia, il ritrovamento di un oggetto smarrito, e lo scorpione. Lo scorpione è metafora di ogni sciagura o disastro che possa abbattersi su di noi e trovarci, non voglia il cielo, impreparati. Eravamo assorti, tutti noi, ciascuno nei propri affari e nei propri sogni e, improvvisamente, mentre la nostra attenzione era altrove, è apparso lo scorpione con una corona in testa. Ma distogliere l’attenzione è anche una guida per affrontare il disastro. Questo può essere visto come un destino ineluttabile e può essere visto come un’opportunità. Distogliere l’attenzione dalle vecchie convenzioni di pensiero, per fare spazio a un nuovo paradigma di vita. Abbiamo imparato a nostre spese ad apprezzare la bellezza della quotidianità della vita, la vicinanza tra gli esseri umani, il radunarsi insieme e non dietro gli schermi, e l’espressività di un volto scoperto e non dietro una maschera. D’altra parte, abbiamo anche imparato ad apprezzare gli occhi, e quanto essi possano esprimere senza che mai ce ne accorgessimo. Abbiamo imparato a conoscere la sofferenza della solitudine di molti, dalla nostra stessa esperienza. E abbiamo imparato a conoscere il potere della speranza che ci sorregge, che ecco, ancora un piccolo sforzo, e la situazione cambierà in meglio. Per quanto riguarda il lavoro in Ambasciata, la maggior parte dei nostri programmi è stata sospesa o annullata. Lavoriamo in due gruppi separati (che chiamiamo capsule) che si alternano in presenza in ufficio. Tuttavia, ed è piuttosto interessante, il lavoro non è stato ridotto, ma viene svolto in maniera diversa. Come, per esempio, numerosi incontri svolti su piattaforme come Zoom oppure a casa mia, incontri con un numero molto ristretto di persone e nel pieno rispetto delle regole di prudenza e prevenzione”.

     

    Può illustrarci i compiti di un Ambasciatore e il lavoro che sta svolgendo?

    “Il compito dell’ambasciatore è quello di rappresentare lo Stato di Israele nei confronti dell’Italia in molti settori: sicurezza, cooperazione scientifica, culturale, economica, politica e altro. A causa della crisi del Coronavirus, stiamo investendo molto tempo nella cooperazione in campo sanitario. Mi occupo anche di far conoscere sul piano politico le posizioni di Israele sia al governo italiano sia all’opinione pubblica italiana. Ogni settimana incontro personalità politiche, intellettuali, opinion leader e personaggi chiave dei media, per scambiare opinioni, imparare da loro sulla situazione in Italia e in Europa, e anche per spiegare e analizzare la situazione in Medio Oriente in generale e in Israele in particolare. Promuoviamo transazioni e rapporti commerciali tra governi e mediamo tra aziende israeliane e italiane. Promuoviamo inoltre collaborazioni scientifiche ed educative tra scuole e università. Anche in occasione dello Shabbat, cerco di avere in casa ospiti per il Kiddush e per i pasti di Shabbat. Molte volte sono italiani che partecipano per la prima volta a un Sabato ebraico. Non ci sono solo il Kiddush e i canti di Shabbat, ma proviamo anche a studiare la parashà settimanale della Torah. Per me, un ambasciatore israeliano è anche rappresentante della civiltà ebraica di fronte alle nazioni del mondo. Per questo nei miei interventi cerco di parlare anche di questioni inerenti alla cultura ebraica e alla storia del nostro popolo, e ovviamente alla Bibbia, al Talmud, alla filosofia ebraica e ai tanti tesori letterari che nessun’altra nazione ha donato ai suoi discendenti. Il popolo ebraico non è soltanto il “Popolo del Libro”, ma il “Popolo dei libri”. Nei secoli, abbiamo costruito un enorme grattacielo testuale, tra i cui piani abbiamo il privilegio di poter spaziare e attingere conoscenza, etica e conforto, ogni volta che vogliamo”.

     

     

    Come giudica le relazioni tra Italia e Israele, sono due Paesi molto amici: quali sono i campi di collaborazione e vi sono aspetti che vanno migliorati ?

    “Il rapporto tra l’Italia e il popolo ebraico risale all’inizio dell’Unità d’Italia, a metà del XIX secolo. Gli intellettuali ebrei che seguivano con simpatia il Risorgimento italiano ne trassero ispirazione anche per la rinascita del popolo ebraico. Il successo dell’unificazione dell’Italia fece loro sperare che anche noi saremmo stati in grado di attuare una rinascita nazionale nel nostro Paese. L’intellettuale ebreo Moses Hess pubblicò il suo libro “Roma e Gerusalemme” nel 1861. Egli vedeva una profonda connessione tra queste due città. Roma ha distrutto Gerusalemme e la ricostruzione di Roma avrebbe segnato la ricostruzione di Gerusalemme. Così scrive: “Con la liberazione della Città Eterna sulle sponde del Tevere, comincia la liberazione della Città Eterna sul Monte Moria; con il rinascimento dell’Italia comincia quello della Giudea”. Ricordiamo anche che, nell’aprile 1920, a Sanremo nacque lo Stato ebraico, come disse all’epoca il futuro presidente Chaim Weizmann. A Sanremo, le potenze vincitrici della Prima guerra mondiale riconobbero il diritto del popolo ebraico sulla sua antica patria, e conferirono alla Gran Bretagna il mandato di attuare la Dichiarazione Balfour. Quell’intesa di Sanremo fu firmata anche dall’allora Presidente del Consiglio italiano Francesco Nitti, ed è, tra l’altro, l’unico diritto internazionale sancito in un documento, in relazione alla Terra d’Israele. Altre dichiarazioni, secondo cui Israele violerebbe il diritto internazionale, sono dichiarazioni con valenza più politica che legale. I rapporti tra Italia e Israele sono ottimi e la cooperazione in molti settori raggiunge livelli quasi intimi. Sul piano internazionale, soprattutto nelle istituzioni dell’Onu, ogni anno si contano una ventina di voti anti-israeliani basati su menzogne, il cui obiettivo è delegittimare Israele e disconnetterlo dal cuore del Paese e da Gerusalemme. In confronto, l’Iran e la Corea del Nord avranno ricevuto forse una sola proposta di condanna. Purtroppo l’Unione Europea, Italia compresa, collabora a questo teatro dell’assurdo, o astenendosi o persino votando a favore, in alcuni casi. A proposito, in alcune delle proposte, il Monte del Tempio a Gerusalemme è menzionato solo con la sua denominazione musulmana: “Ḥaram al-Sharif”, mentre quella occidentale “Monte del Tempio” è omessa. L’intenzione è chiara: negare le radici ebraiche sul Monte del Tempio. Il problema non è solo questa eclatante menzogna storica, ma che, negando le radici ebraiche sul Monte del Tempio, si cancellano anche le radici cristiane di quel luogo. A quanto mi risulta dal Nuovo Testamento, Gesù non si aggirava nel “Ḥaram al-Sharif”. Ironia della sorte, non votando contro tali testi, l’Europa di fatto vota contro sé stessa. Israele vorrebbe vedere un cambiamento di fondo nella posizione europea e italiana, contro questo oltraggio morale”.

    Recentemente il Ministro degli Esteri italiano Di Maio si è recato per la prima volta in Israele. Sono stati firmati accordi e quali temi sono stati trattati nei colloqui?

    “Il Ministro Di Maio ha visitato Israele a fine ottobre. Era la prima visita di un ministro del secondo governo Conte. Ha incontrato il Ministro degli Esteri, il Ministro della Difesa, il Presidente, il Primo Ministro e il leader dell’opposizione. Un bel po’ di cose in un solo giorno. Negli incontri si è parlato di una serie di cooperazioni tra i Paesi, nonché dello scenario Mediterraneo e dei paesi circostanti. Si è anche affrontato l’argomento degli Accordi di Abramo e del cambiamento di paradigma politico in Medio Oriente. E parte dei colloqui hanno riguardato anche la questione Covid-19, in particolare la questione dei vaccini. Sono stati firmati o rinnovati nuovi e vecchi accordi economici e culturali. Il giorno seguente, il Ministro ha visitato la Città Vecchia di Gerusalemme e il Muro Occidentale”.

     

    Quali sono oggi le principali preoccupazioni della politica estera israeliana?

    “Ci sono parecchie sfide politiche che il mondo pone a Israele. Qui voglio toccare un solo punto fra i tanti nel mare delle minacce. Quando guardiamo al Medio Oriente oggi, la domanda che dovrebbe preoccupare è: com’è che tutti i paesi della Mezzaluna fertile sono diventati paesi a dominazione sciita? Il Libano, inizialmente un paese con dominio cristiano, è ora sotto l’influenza sciita; la Siria era un paese a predominanza sunnita, e oggi è una dittatura alauita sotto l’influenza sciita; l’Iraq è stato per secoli sotto il dominio sunnita e ora è un paese controllato dagli sciiti. È avvenuto un cambiamento storico nell’equilibrio di potere tra la Sunnah e gli sciiti, senza precedenti dalla fondazione dell’Islam oltre 1.400 anni fa. L’intera Mezzaluna Fertile è ora aperta per l’Iran, attraverso Iraq, Siria, Libano (Hezbollah), fino al bacino orientale del Mediterraneo. Non si era visto nulla del genere in epoca moderna. Le minacce dell’Iran a Israele non sono nuove. Israele non confina con l’Iran, per cui, apparentemente, non dovrebbe esistere alcuna ragione di conflitto tra noi e loro. Eppure, stando al grado di ossessione, follia e immensi sforzi che il regime degli ayatollah ha profuso nell’odio per Israele e nel suo desiderio di colpirci e, Dio non voglia, persino di distruggerci, parrebbe quasi che questa sia la ragion d’essere di questo regime. Il leader supremo Khamenei e i suoi amici definiscono Israele un “cancro nel Medio Oriente”. Khamenei ha detto: “Il virus sionista che è sopravvissuto finora non sopravvivrà a lungo. L’entità sionista non sopravvivrà, sarà eliminata”. I più grandi antisemiti nel mondo di oggi hanno imparato a mascherare le loro parole e a sostituire “ebrei” con “sionisti”. Ma in base alla definizione di antisemitismo accettata anche dal governo italiano lo scorso gennaio, i due tipi sono il medesimo antisemitismo. Come se 80 anni non fossero passati, ancora una volta sentiamo Hitler parlare di fronte alle masse, solo che ora il tedesco è stato sostituito dal persiano. Abbiamo imparato dalla storia che, quando un dittatore dice qualcosa, vale la pena prendere sul serio le sue parole. L’Europa crede che sia possibile raggiungere un accordo sulla bomba nucleare con questo regime sanguinario. Così si esprimeva l’Europa anche negli anni Trenta, in relazione a Hitler e alla Germania nazista. I paesi europei minimizzavano le minacce naziste e, di fatto, temevano di arrivare a un confronto con Hitler. Alla fine furono comunque costretti a uno scontro, ma da una posizione nettamente inferiore. L’Iran non è solo un problema di Israele. Esso minaccia l’intero Medio Oriente e cerca di minarne la stabilità, per ottenere maggiore influenza. Lo fa anche attraverso le sue metastasi terroristiche in quasi tutti i paesi arabi. Ma l’Iran minaccia anche l’Europa e l’intero Occidente. Speriamo che l’Europa alla fine si svegli”.

     

    Le minacce iraniane, siriane, di Hezbollah e di Hamas non sono mai diminuite, ma allo stesso tempo una nuova straordinaria stagione di speranza si è aperta con altri Paesi arabi: Emirati Arabi, Bahrein, Qatar, Marocco e altri paesi che stanno iniziando a dialogare con Israele. Cosa è cambiato? Sulla base di quali esigenze è nata questa straordinaria pagina della storia del Medio Oriente?

    “Rispetto al Medio Oriente, il paradigma dominante fino a poco tempo fa era che, senza risolvere il conflitto con i palestinesi, non ci sarebbe stato alcun progresso verso la normalizzazione dei rapporti di Israele con gli stati arabi. Ma i palestinesi hanno rifiutato qualsiasi piano offerto loro, anche il più generoso. Hanno detto di no per circa 100 anni, tanto da far sembrare che, di fatto, non abbiano mai veramente voluto un loro stato indipendente accanto allo Stato di Israele. Non solo hanno rifiutato proposte di compromesso, ma hanno costantemente appoggiato qualsiasi leader sanguinario che pensavano potesse soddisfare i loro desideri: lo sterminio degli ebrei, Dio non voglia. È così che hanno sostenuto Hitler negli anni ‘40, Saddam Hussein alla fine degli anni ‘80, i Fratelli Musulmani all’inizio degli anni Duemila, e ora l’Iran. Hanno sempre scelto la parte sbagliata della storia, anche contro i chiari interessi degli altri stati arabi. Gli altri paesi arabi sanno bene che la vera minaccia per loro viene dall’Iran. Comprendono che quello che fino a poco tempo fa era considerato un assioma, per cui Israele era considerato il problema, sta cambiando completamente. Ovviamente questo non era vero allora, ma ora è evidente anche ai loro occhi: Israele è la soluzione per stabilizzare il Medio Oriente, e, insieme, possiamo impedire all’Iran di realizzare le proprie intenzioni. Questi accordi di pace sono il frutto di lunghi anni di politica coerente portata avanti dal Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Egli si è riproposto di aggirare il veto permanente palestinese sulla normalizzazione delle relazioni israeliane con gli stati arabi, e di consolidare la forza economica e militare di Israele, rivolgendosi direttamente agli stati arabi moderati che hanno un interesse di sicurezza ed economico nella pace con Israele. Gli stati arabi affermano – ed è stato dichiarato anche pubblicamente in un’intervista dal principe saudita Binder bin Sultan – che i palestinesi non hanno mai pagato un prezzo per i propri errori, ma hanno invece sempre ricevuto supporto automatico, anche quando sceglievano alleati che minacciavano anche il mondo arabo. È proprio il fatto che Israele ha compiuto progressi senza attendere i palestinesi, che spingerà questi ultimi ad avvicinarsi al tavolo dei negoziati. In ogni caso, la storia ha una caratteristica speciale: non sta ad aspettarci”.

     

    Quali collaborazioni stanno nascendo tra Israele e i Paesi arabi del Golfo Persico?

    “Siamo appena all’inizio del processo di scongelamento delle relazioni. Anche se le cose sembrano molto veloci, rispetto alla normalizzazione dei rapporti con i cittadini dei vari Paesi, gli apparati statali ed economici richiedono ancora un lavoro attento e approfondito. Molte aziende israeliane hanno in programma di entrare nei nuovi mercati, e questo si fa già sentire sul campo. Naturalmente ci sono anche collaborazioni tra governi in vari campi. L’importante è la buona volontà. Dopo molti anni di boicottaggio ed esclusione, stiamo cercando di colmare il divario, per il bene del Medio Oriente e a beneficio del mondo intero”.

     

    Davanti a questi cambiamenti, l’Europa è apparsa abbastanza tiepida certamente non entusiasta. Secondo lei perché?

    “È stato alquanto strano seguire le reazioni dei governi europei, ogni volta che veniva annunciata la normalizzazione con un altro paese arabo. L’acrimonia era visibile persino da Gerusalemme. Nella migliore delle ipotesi, hanno accolto con favore la pace, ma si sono affrettati ad aggiungere subito il famoso “ma”: ma ci aspettiamo che non si dimentichino i palestinesi e la “Soluzione dei due stati”. Penso spesso che l’Europa sia ancora bloccata, in una sorta di fissazione psicologica, agli anni ’80, a prima di tutti i grandi esperimenti degli Accordi di Oslo del 1993, del disimpegno da Gaza del 2005, e delle altre conferenze di pace, che, non solo non hanno pacificato la regione, ma hanno anzi aggiunto altro terrore e dolore. I paesi arabi si trovano nella stessa regione, e probabilmente comprendono qualcosa che l’Europa si rifiuta di accettare: il Medio Oriente sta cambiando sotto i nostri occhi. L’idea di stato nazionale, che l’Europa aveva concesso ai popoli arabi dopo la Prima guerra mondiale, si sta sgretolando. Le minoranze che erano tenute insieme in un solo paese, probabilmente non hanno mai voluto stare insieme, ma sono state costrette a farlo sotto le minacce dei loro dittatori: Assad padre e figlio, Saddam Hussein, Gheddafi e altri. Ora questa struttura artificiale sta crollando, e sotto di essa stanno riaffiorando le antiche strutture che hanno retto la regione per migliaia di anni: tribù, confessioni religiose, clan familiari e altro ancora. I palestinesi non differiscono dal loro ambiente circostante. A breve termine, non hanno alcuna possibilità di creare uno stato che durerà un solo attimo, prima di cadere in mano a Hamas e di altre organizzazioni islamiste estremiste. Attualmente, Israele non interferisce nelle loro vite, ma mantiene l’involucro che li circonda, proteggendo in tal modo sia i cittadini di Israele dalle cellule terroristiche, sia gli stessi palestinesi, perché non ricapiti loro quel che è avvenuto a Gaza. È un dato di fatto che questa sia la comunità più tranquilla nella zona. La storia ci ha insegnato che in Medio Oriente i processi maturano lentamente. Bisogna armarsi di pazienza. I nostri saggi hanno insegnato nel Trattato Avot del Talmud che non sta a noi portare a termine l’opera, anche se non siamo esonerati dal portarla avanti. Lasceremo qualcosa da fare alla prossima generazione”.

     

    In Europa esistono movimenti anti israeliani, a cominciare dal BDS e questo soprattutto in quei paesi europei dove è molto forte la presenza di stranieri e cittadini islamici. Come si combatte il BDS?

    “Dopo i due conflitti mondiali, l’élite europea ha visto il nazionalismo come un’idea problematica, la cui estremizzazione ha portato il continente a gravi disastri. Così, negli anni, è stata delegittimata anche una sana idea nazionale, che riguarda l’appartenenza a un luogo e a una società con una storia, una lingua e dei valori comuni. Giuseppe Mazzini ha insegnato a tutti noi qual è la natura di un sano nazionalismo. In epoca di globalizzazione, è difficile parlare di confini e di appartenenza particolarista a un determinato gruppo all’interno della mescolanza europea. L’Europa deve ora fare i conti con milioni di immigrati con forte senso di appartenenza a nazionalità non europee, e il cui credo religioso è evidentemente diverso dal cristianesimo occidentale. Per forza di cose, l’alienazione tra la vecchia società cristiana europea e la società degli immigrati musulmani genera tensioni e scontri. Lo abbiamo visto in centinaia e migliaia di casi di aggressioni e omicidi, sullo base della mancata accettazione dei valori liberali dell’Occidente. Di recente lo abbiamo sperimentato nuovamente in Francia. Come molte volte nella storia, i primi a beccarsi le schegge sono stati gli ebrei. A prescindere dalle autorità, gli ebrei sono percepiti come elemento più debole dal punto di vista degli immigrati musulmani, e per questo assistiamo a un incremento significativo degli incidenti di natura antisemita in Europa. Ovviamente Israele, in quanto unico stato ebraico al mondo, è al centro della propaganda ostile contro di esso. Il BDS è un modo più sofisticato per dare espressione al vecchio antisemitismo. Anziché ebrei, si può dire israeliani, anziché parlare contro l’ebraismo, si può parlare contro il Sionismo, e così via. La recente definizione di antisemitismo dell’IHRA, adottata anche dal governo italiano nel gennaio dello scorso anno, individua chiaramente questa falsa maschera, e definisce anche l’opposizione a Israele in quanto stato nazionale del popolo ebraico come una forma di antisemitismo. Questo perché, se il vecchio antisemitismo cercava di togliere di mezzo gli ebrei dal mondo, il nuovo antisemitismo cerca di far sparire dalla faccia della terra il loro unico stato, cioè di privare gli ebrei del diritto più semplice: vivere secondo la propria fede e la propria cultura, nella loro antica patria. Sappiamo anche dalla nostra esperienza che le manifestazioni anti-israeliane e anti-sioniste portano a manifestazioni antisemite e viceversa. Il modo per affrontare il BDS, e l’antisemitismo in generale, è prima di tutto rafforzare l’educazione ebraica, una connessione più profonda con le nostre radici storiche e culturali. In secondo luogo, dobbiamo ampliare la nostra conoscenza di Israele e del suo confronto con il campo ostile, al fine di stare attenti alla disinformazione diffusa da elementi anti-israeliani. Terzo, bisogna respingere l’attacco alle porte: identificare i focolai di antisemitismo e anti-israelismo, smascherarli e utilizzare tutti gli strumenti legali a nostra disposizione, denunciarli pubblicamente, sui social media e sui mezzi di comunicazione. Detto questo, è importante ricordare che siamo un popolo antico: abbiamo visto nemici peggiori, e li abbiamo superati tutti, grazie a Dio. E soprattutto, l’importante è non aver affatto paura”.

     

    Quale ruolo secondo lei dovrebbero svolgere le comunità ebraiche della diaspora per sostenere Israele? Come giudica il supporto delle comunità ebraiche italiane?

    “La comunità ebraica in Italia è la carne della nostra carne, siete nostri fratelli e sorelle. Lo Stato di Israele è sempre con voi, nella gioia e nel dolore. Sotto il mio mandato, l’Ambasciata sta cercando di tenersi costantemente in contatto con tutte le comunità ebraiche e di tenersi aggiornata sulla loro situazione. Ovviamente siamo in buoni rapporti con l’Unione delle Comunità Ebraiche. Nei primi anni dello Stato, Israele ha avuto bisogno dell’aiuto degli ebrei della diaspora, che erano più forti di esso. Negli anni la tendenza si è invertita, e oggi lo Stato di Israele sostiene e aiuta gli ebrei della diaspora. Lo stesso vale per la comunità ebraica in Italia, che è forse la più antica comunità ebraica del mondo, le cui radici risalgono al II secolo a.E.v., a quando, nel 161, Giuda Maccabeo inviò una delegazione diplomatica dalla Giudea al Senato della Repubblica di Roma, per stringere un’alleanza di mutua difesa. Un anno fa, in un mio intervento al Senato della Repubblica italiana, ebbi modo di dire che lo Stato di Israele è la polizza assicurativa degli ebrei, ovunque si trovino. Il governo italiano dedica molto tempo e sforzi per difendere in modo impressionante le comunità, cosa di cui siamo profondamente grati. Nel mio lavoro, ho visto molte volte come le varie comunità ebraiche si mobilitino, per difendere il nome di Israele e combattere la propaganda antisionista. Siamo anche consapevoli delle legittime critiche alla politica del governo israeliano, e per me va bene così. È lecito avere delle discussioni all’interno della famiglia. Vorrei cogliere questa occasione per augurare a tutti un anno in piena e buona salute, con la speranza di poter tornare a incontrarci e rivederci tutti il prima possibile”.

    A cura di Giacomo Kahn

    CONDIVIDI SU: