“Il profumo di mio padre” non è solo un viaggio nella memoria paterna, è piuttosto un’immersione nelle ferite che hanno condizionato la vita di un’intera famiglia.
Emanuele Fiano in questo libro scritto per la casa editrice Piemme, s’interroga su quale sia oggi il significato di memoria individuale e collettiva e sul metodo più congeniale affinché l’opera di testimonianza del padre possa proseguire.
Ieri pomeriggio si è tenuta la presentazione del libro organizzata dalla casa editrice Piemme e il Centro di Cultura Ebraica.
Quattro gli ospiti: Ruth Dureghello, il giornalista Aldo Cazzullo, l’autore Emanuele Fiano e il capo direttore del TG1 Piero Damosso.
“Non vi sono risposte chiare agli interrogativi posti nel libro. I figli della Shoah portano su di sé ferite profonde, fatte di sofferenze e silenzi. Un’elaborazione complicata perché non si esce mai realmente da Auschwitz, parafrasando Sabatino Finzi”, ricorda la presidente della Comunità ebraica di Roma.
Continua Aldo Cazzullo: “Ciò che colpisce è la precisione dei dettagli, gli indirizzi, i numeri civici, i cibi descritti. Il pane nero amato da Nedo, la mela, i panini con la bresaola mangiati durante la prima vacanza lontana da casa, le polpette di ricotta e la frittata.
E accanto a questi c’è il pianto. Nedo piangeva spesso, con le furie e i dolori, pretendeva però che i figli non facessero lo stesso.
È qui che la memoria gioca un ruolo importante, perché è sbagliato dire che esiste un ricordo condiviso, esiste piuttosto un ricordo comune. E la memoria di chi è stato deportato ad Auschwitz è diversa da quella del delatore. Una memoria civile può nascere solo da un sistema di valori comuni. Questa non è un accadimento fortuito ma un atto che si compie tra i vivi. (…)
Dobbiamo smettere di leggere il giorno della memoria con gli occhi dell’ideologia, e ciò può esser fatto solo costruendo una solida coscienza civile”.
A seguire gli interventi di Damosso e Fiano su diversi argomenti: dalla distinzione tra antisemitismo e altre forme di razzismo alla lotta politica sposata da Emanuele e invisa dal padre, passando per il racconto sul seder di Pesach e l’idea che il mondo sia ancora terreno di scontri tribali – il recente attacco a Capitol Hill da parte di un gruppo di facinorosi è un esempio -.
“Ogni anno leggiamo il racconto degli ebrei che escono dall’Egitto e c’è un passaggio dell’Haggadah che dice ‘noi fummo schiavi presso il faraone’ e gli adulti spiegano di solito cosa vuol dire. All’epoca il rabbino e gli altri presenti chiedevano a mio padre cosa volesse dire. In una liturgia ordinata improvvisamente papà leggeva il pezzo e cominciava a piangere. Anche io, diceva, sono stato schiavo pochi anni fa in Germania. Tutti noi siamo stati schiavi. Il valore della libertà può essere compreso solo da chi ne è stato privato”.