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    Il dovere morale di riconoscere il 7 ottobre come un femminicidio di massa

    “Molti civili morirono, ma le donne non furono uccise allo stesso modo degli altri. La violenza commessa contro queste donne corrisponde in tutto e per tutto alla definizione di femminicidio, cioè all’omicidio di donne o ragazze a causa del loro sesso”. È l’incipit della lettera-appello di un collettivo di personaggi pubblici francesi, prime firmatarie l’attrice Charlotte Gainsbourg e la sindaca di Parigi Anna Hidalgo, che chiede alle grandi organizzazioni umanitarie internazionali, Amnesty e Un Woman ma anche alle Ong e alle associazioni femministe, di riconoscere il raid stragista di Hamas del 7 ottobre come “femminicidio di massa”. È un’iniziativa coraggiosa, che sfida il muro del silenzio eretto dai grandi enti umanitari davanti alla più orribile e specifica caratteristica di quell’eccidio: l’uso combinato di stupro e assassinio per annientare e umiliare le “donne del nemico” secondo un orribile copione già visto in Bosnia, Ruanda, Siria.

    La differenza è che in questi precedenti i mondi delle donne, della difesa dei diritti, della solidarietà, e anche della giustizia internazionale si sono mossi con forza: furono proprio gli stupri di massa delle forze serbe contro le donne musulmane di origine bosniaca a spingere la proposta alle Nazioni Unite di un gruppo di deputate europee perché lo stupro fosse riconosciuto come crimine di guerra. Ufficiali e soldati serbi furono incriminati a decine per quelle violenze su inermi davanti al Tribunale Penale Internazionale per la ex-Jugoslavia.

    In Israele, poco meno di due mesi fa, abbiamo assistito a un identico copione di sangue e violenza. Vale la pena di ricordarlo, e di farlo attraverso le parole della petizione francese: “le donne venivano esposte nude. Le donne sono state violentate al punto da fratturarsi il bacino. Anche i loro cadaveri furono violentati. I loro genitali erano danneggiati. Urinavano sui loro resti. Alcune furono decapitate, altre smembrate e bruciate. Altre ancora furono prese in ostaggio. Tutto questo è stato filmato e fotografato per incutere terrore perché le donne e i bambini sono simboli della nostra umanità. I video degli interrogatori dei terroristi lo confermano: “Volevamo violentarle per sporcarle”. Fu fatta anche una cernita delle donne in ostaggio, quelle belle da una parte furono portate via, le altre uccise. Anche donne disabili sono state violentate e uccise, come Noya, che è autistica, e Ruth, che ha disabilità multiple”.

    Se l’indignazione per tutto questo resta confinata in un appello, se non diventa una battaglia del mondo che ha a cuore i diritti dell’umanità e la dignità delle donne e dei bambini, è ovvio interrogarsi: perché? Forse le cittadine israeliane, le giovani che erano andate a ballare, le anziane rimaste nei loro kibbutz a preparare la cena, le ragazzine che giocavano nei cortili, sono ritenute meno “difendibili” delle altre? O i femminicidi e gli stupri di massa hanno un valore diverso a seconda della nazionalità e della religione di chi li subisce? O in questo caso non siamo di fronte ad atroci e barbari femminicidi perché commessi ai danni di donne, bambine, anziane ebree? Non è che dietro a questo silenzio si annida pregiudizio e odio antisemita?

    Io mi ribello a questa logica. Mi ribello a questa indifferenza. Perché è l’indifferenza che in passato ha spalancato le porte sull’abisso dell’umanità. I cancelli di campi di concentramento non si sono aperti dalla sera alla mattina, ma perché l’antisemitismo ha potuto proliferare e crescere nel tempo grazie anche all’indifferenza oltre che alla complicità di tanti.

    Se non vogliamo che questo accada di nuovo, in Medio Oriente come anche in Occidente, è arrivato il momento di dire basta e di urlarlo con tutte le nostre forze.

    Hanno ragione le francesi: il 7 ottobre è stato perpetrato un femminicidio di massa e stupri di massa. Le organizzazioni nazionali e sovranazionali che si occupano di diritti umani, diritti delle donne, diritti delle bambine e dei bambini, a cominciare da Amnesty International, UN WOMEN, UNICEF, Save The Children, hanno il dovere morale di riconoscerlo e di chiedere giustizia. Se non ne saranno capaci, sarà difficile in futuro dar credito alle loro battaglie e alla loro terzietà rispetto agli eventi del mondo.

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