Dopo un’attesa durata un anno dall’annuncio ufficiale, lo scorso 2 marzo gli archivi vaticani sono stati finalmente aperti agli studiosi che intendono studiare i documenti relativi al pontificato di papa Pio XII. Si tratta di una mole enorme di documentazione al cui studio avranno accesso poche decine di studiosi e storici che in precedenza si erano già prenotati e la cui analisi e comparazione – che richiederà tempo – potrebbe mettere una parola definitiva sulle ragioni del silenzio di papa Pacelli davanti alla tragedia della Shoah e in specie difronte alla deportazione di 1022 ebrei romani (tra cui donne, bambini e anziani).
Trascorsa però una settimana da quella storica apertura, gli archivi vaticani sono stati chiusi, a tempo indeterminato, a causa dell’emergenza nata dall’epidemia di coronavirus.
Una settimana potrebbe sembrare un lasso di tempo troppo breve per poter trarre delle conclusioni dalla ricerca storiografica appena iniziata, ma non è di questo parere il professor Hubert Wolf (e della sua equipe dell’Università di Münster) che in una intervista (rilanciata anche dal Washington Post) ha dichiarato di avere prove che Pio XII avesse avuto notizie di prima mano circa lo sterminio degli ebrei operato dai nazisti e nonostante ciò avesse disposto di non condividere le informazioni con il governo statunitense. Una decisione, quella del pontefice, che sarebbe stata influenzata e condizionata dall’opinione di un funzionario della Segreteria di Stato, mons. Angelo Dell’Acqua, che aveva consigliato il papa a non credere, senza opportune verifiche, alle notizie, e aveva contestato la credibilità delle fonti da cui esse erano arrivate, scrivendo in un rapporto che “gli ebrei esagerano facilmente e gli orientali […] non sono davvero un esempio di onestà”.
Si tratta di una scoperta di grande rilievo, se non addirittura clamorosa, per ora ignorata dalla stampa italiana.
Per cercare di capire e per commentare lo stato della ricerca su papa Pacelli, sul sito www.ilgiornaledistoria.it, Roberto Benedetti ha intervistato un altro dei pochi studiosi che hanno avuto accesso agli archivi. Si tratta del prof. David I. Kertzer, storico e antropologo statunitense, docente alla Brown University, esperto di storia della Chiesa in Italia, vincitore nel 2015 del premio Pulitzer per il suo libro The Pope and Mussolini. The secret history of Pius XI and the rise of fascism in Europe (trad. it., Il patto col diavolo, Milano, Rizzoli, 2014) e profondo conoscitore dei rapporti tra Vaticano e regime fascista.
Innanzitutto per il prof. Kertzer le ‘scoperte’ dello studioso tedesco non sono in realtà una novità, ma anzi una conferma di notizie già emerse negli anni passati. Già nel 1997 era stato pubblicato (edito da Piemme) il libro di Michele Manzo, “Don Pirro Scavizzi. Prete romano (1884-1964)”, che documentava di una relazione di don Pirro Scavizzi, nella quale si riportava la descrizione delle brutali esecuzioni di massa in Polonia, presentata alle autorità vaticane alla fine del 1942.
“Va innanzitutto precisato – spiega il prof. Kertzer – il fatto che anche prima dell’apertura dei nuovi fondi vaticani, abbiamo già avuto la possibilità di accedere a una quantità enorme di documentazione che mette bene in luce le scelte e le decisioni di Pio XII e dei suoi principali assistenti — fra i quali, il segretario di stato cardinale Luigi Maglione, e i suoi due collaboratori più stretti, mons. Giovanni Montini (il futuro Papa Paolo VI) e Domenico Tardini — negli anni della guerra. Tra i numerosi altri archivi che ho consultato finora, vanno citati gli archivi storico-diplomatici italiani, tedeschi, francesi, inglesi, e americani. Lì sono conservati fra l’altro tutti i reports e la corrispondenza degli ambasciatori e degli altri diplomatici stranieri presso la Santa Sede. Questi avevano frequenti incontri, anche a cadenza settimanale, con i collaboratori più stretti del papa, e spesso anche udienze private con il pontefice, per tutto il periodo della guerra. Le loro descrizioni di queste conversazioni sono preziose. E poi ci sono archivi dello spionaggio militare, dall’Italia, ma anche da Londra e Washington, per non parlare di tutti gli archivi fascisti che comprendono quelli della polizia politica, con le relazioni dei numerosi informatori infiltrati in Vaticano. Inoltre, papa Paolo VI, come sappiamo, diede incarico al gruppo degli studiosi gesuiti, di preparare la selezione di documenti che potesse confutare la teoria del “silenzio del papa” durante la Shoah, un’opera che, iniziata nel 1965, fu completata nel 1981 e che confluì nei dodici corposi volumi di documenti estratti dai vari fondi vaticani del periodo pacelliano [gli Actes et Documents du Saint Siège relatifs à la Seconde Guerre Mondiale o ADSS, ndr]. Insomma, sappiamo già moltissimo di questa storia. Ciò detto, speriamo di avere ancora maggiori dettagli dagli archivi vaticani appena aperti. La ricerca è molto agevolata dal fatto che l’archivio della Segreteria di Stato-Sezione rapporti con gli Stati abbia digitalizzato tutti i suoi documenti e li abbia inseriti in una rete intranet a disposizione, in contemporanea, di ciascuno studioso. Questo vuol dire che il ricercatore ha accesso più o meno istantaneo e diretto, senza nemmeno doversi alzare dalla sua postazione, a tutto il materiale documentario, anche grazie ad un ottimo motore di ricerca e al buon lavoro di indicizzazione che è stato fatto. Nel confronto, il lavoro nell’archivio principale dello Stato vaticano, ovvero l’Archivio Apostolico Vaticano, è molto più lento”.
Molto veloce e sospetta invece è stata la campagna stampa, avviata subito dopo l’apertura degli Archivi Vaticani, tutta favorevole a Pio XII e in cui si parlava a carattere trionfalistico di “rivelazioni” che dimostrerebbero l’impegno del pontefice nel salvare gli ebrei. Molto duro il giudizio del prof. Kertzer. “Sono tutte cose ingannevoli se non totalmente false. Dall’America, vediamo la promozione di papa Pacelli a santo come uno sforzo della fazione di destra della Chiesa, una fazione che intende esaltare l’ultimo papa prima del Secondo Concilio Vaticano e che risulta essere poco favorevole al pontefice attuale, papa Francesco. Quindi la circostanza che in Italia questa campagna sembri così diffusa nella stampa mainstream, se non addirittura di sinistra, mi colpisce. Il fatto che la selezione di documenti pubblicati negli ADSS – unica fonte accessibile prima del 2 marzo di quest’anno per la documentazione della Santa Sede del pontificato pacelliano – fosse stata estrapolata dal contesto e che le carte dovessero essere prima o poi verificate in originale, non è una novità. Dopo la pubblicazione di quei volumi, la comunità degli storici iniziò a richiedere in maniera ancora più pressante di prima l’apertura degli archivi vaticani, proprio per poter fare i dovuti controlli”.
Controlli che risultano urgenti e stringenti, sapendo che tutto il materiale messo a disposizione degli studiosi è stato selezionato, catalogato e archiviato da un gruppo di gesuiti molti decenni fa.
“Ci sono – spiega Kertzer – quelli che dicono che, almeno per quanto riguarda la problematica del silenzio del papa durante la Shoah, siano stati pubblicati tutti i documenti presenti. E poi ci sono gli scettici che hanno il sospetto che esistano altri documenti imbarazzanti per la causa di beatificazione di Pio XII e che questi siano stati intenzionalmente lasciati fuori dalla selezione e pubblicazione. E il discorso è ancora più complicato perché molto spesso questi documenti vaticani presentano commenti e annotazioni redatti a mano nel margine: sono le postille, le correzioni, le cancellature, le interpolazioni ad essere fondamentali per la comprensione del testo e del contesto all’interno del quale è stato prodotto. Nei documenti editi negli Actes et documents, abbiamo molti di questi commenti. Ma li abbiamo tutti? E oltre a tutti i dubbi che riguardano problemi di selezione, bisogna avere bene a mente che gli studiosi gesuiti si trovarono a dover fare questo spoglio prima che gli archivi fossero ordinati e inventariati. Quindi, anche volendo presupporre la loro buona fede e buona volontà, è certamente possibile che ci siano documenti importanti che non siano stati in grado di individuare. Quando però si sentono storici affermati sostenere che, data la pubblicazione da parte del Vaticano di tutti questi volumi, non ci saranno novità importanti negli archivi appena aperti, bisogna avere presente che il compito che avevano i quattro gesuiti responsabili del progetto di ADSS, era principalmente quello di confutare l’accusa del silenzio del papa nel contesto della Shoah. Ma ci sono molte altre domande da sciogliere, legate all’azione del papa e del Vaticano durante la guerra, come la questione che mi interessa in modo particolare, cioè quella dei rapporti che la Santa Sede manteneva con il regime fascista, un aspetto che viene compreso nell’ambito del lavoro dei citati ADSS solo in maniera molto marginale”.
Tutte queste domande troveranno mai una risposta? E poi la ricerca storica può essere limitata ai documenti dei solo Archivi Vaticani ?
Su questo punto Kertzer esprime non poche preoccupazioni e perplessità. “Quando ho sentito la dichiarazione di papa Francesco, un anno fa, nella quale annunciava l’apertura degli archivi vaticani per il papato di Pio XII per il 2 marzo 2020, sottolineando quanto fosse importante studiarlo in modo serio, pensavo – come conseguenza diretta di quelle parole – che sarebbero stati aperti tutti gli archivi ecclesiastici per quelli anni. Ma poi non è stato così. Se vogliamo comprendere l’azione della Chiesa sotto Pio XII, l’apertura degli archivi vaticani non è sufficiente. Oltre agli archivi degli ordini religiosi – e, in questo ambito, l’Archivio dell’ordine dei Gesuiti risulterebbe semplicemente fondamentale – mancano all’appello altri archivi, anche a Roma, molto importanti. Qui ho in mente in particolare l’archivio storico del Vicariato di Roma e l’archivio di «Civiltà Cattolica». Ma finora non ho sentito una sola parola dall’uno o dall’altro sui rispettivi progetti di apertura agli studiosi.
Spero che si possano adeguare nel prossimo futuro alla normativa della Santa Sede”.
D’altra parte la resistenza, in alcuni casi addirittura la reticenza, a far avanzare la ricerca storiografia sul papato di Pacelli, deriva in parte anche dal fatto che le Autorità ma anche i singoli, in Vaticano come in Italia, non abbiamo mai fatto fino in fondo i conti con il passato, assumendo colpe e responsabilità.
“Quello che mi colpisce quando sono in Italia – spiega Kertzer- è l’impressione che ancora oggi agli italiani convenga cercare di alimentare l’immagine del proprio paese in guerra al fianco degli alleati e in opposizione agli odiati nazisti e a Hitler. È difficile non vedere il contrasto, per esempio, fra la presenza di moltissimi Istituti per la Storia della Resistenza e la quasi totale assenza su tutto il territorio nazionale di Istituti per la Storia del Fascismo. Quindi il problema che hanno il Vaticano e la Chiesa nell’affrontare la propria responsabilità per i legami con il fascismo e per il ruolo svolto dall’Italia nella Seconda Guerra Mondiale, fa parte di questa problematica più ampia”.
Oltre alla voglia di non fare chiarezza si aggiungono poi i tentativi di accreditare tesi preconfezionate come nel caso della tesi che gli apparati fascisti cercarono di intervenire per impedire l’elezione di Eugenio Pacelli nel conclave del 1939. “Sappiamo che è vero esattamente il contrario. Abbiamo la corrispondenza (anche in parte edita e quindi facilmente consultabile) fra l’ambasciatore italiano alla Santa Sede, Bonifacio Pignatti, e Galeazzo Ciano, Ministro degli Esteri italiano, e anche la corrispondenza fra Diego von Bergen, l’ambasciatore tedesco presso la Santa Sede, e Joachim von Ribbentrop, Ministro degli Esteri a Berlino, nei giorni che intercorsero fra la morte di Pio XI e il conclave: da questi documenti risulta la prova certa che entrambi i ministri lavoravano attivamente per convincere i cardinali a far eleggere Pacelli”.
È evidente, se non addirittura ovvio, che attorno all’accesso ai documenti e alla loro completezza, da cui deriverà un giudizio storico su Pacelli, gira anche la questione della canonizzazione di Pio XII, una decisione tutta interna alla Chiesa, ma dagli innegabili risvolti politici e di relazioni con il mondo ebraico. “Sembra – spiega Kertzer – che quanti vogliano fare di Pio XII un santo non siano disposti a giudicare in modo aperto tutte le nuove prove, dato che negano anche l’esistenza dei documenti scomodi che sono invece già disponibili in abbondanza. Piuttosto che analizzare e studiare tutto ciò che emerge dalle varie ricerche, preferiscono ripetere il medesimo mantra da anni: il papa ha salvato milioni di ebrei, il papa faceva parte di una cospirazione (o anche tre!) per uccidere Hitler, e così via…. Però, è possibile che le pubblicazioni che emergeranno dalle nuove ricerche possano rendere politicamente difficile al Vaticano continuare a percorrere la strada del processo di canonizzazione”.