La Shoah ha bisogno di parole per essere definita, spiegata, capita. Il libro di Tal Bruttmann e Christophe Tarricone “Le 100 parole della Shoah” definisce, spiega e tenta di far capire. Le parole definiscono concetti, ma cosa fare quando un nome condensa significati differenti? Il termine deportazione ad esempio nel 1939 non rinvia alla stessa realtà del 1940 o del 1941 come anche “soluzione finale”, le cui finalità e modalità cambiano nel tempo. Questo libro comprende le parole elaborate dai carnefici per dare un nome alla propria azione politica e le denominazioni che, pur essendo meno utilizzate, risultano talvolta per gli storici più corrette. Qual è il discrimine tra sterminio, genocidio, olocausto, Shoah, Hurbn, soluzione finale e “distruzione degli ebrei d’Europa”? E tra campo di concentramento, campo di sterminio e centro di messa a morte? Esiste un divario tra il lessico utilizzato dagli storici e da chi storico non è? A questa e ad altre domande gli autori rispondono con poco più di 150 pagine. La risposta è affermativa: sì, vi sono delle divergenze, talvolta delle sfumature, cui solo un’analisi attenta e scrupolosa può rendere ragione.