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    Commento alla Torà. Vayerà: l’ospitalità ha più valore della Tzedakà

    La parashà inizia con il versetto “E l’Eterno apparve a lui [ad Avraham] nella pianura di Mamrè mentre era seduto all’entrata della sua tenda nell’ora più calda del giorno. Alzò gli occhi ed ecco tre uomini erano di fronte a lui. Come li vide corse loro incontro dall’entrata della tenda e si inchinò a terra. E disse: mio signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi non passare oltre al tuo servo. Si prenda un po’ d’acqua e vi laverete i piedi e potete accomodarvi sotto l’albero” (Bereshìt, 18:1-4).

    Il Nachmanide(Girona, 1194-1270, Acco) nel suo commento alla Torà scrive che queste persone erano angeli travestiti da uomini: l’angelo Refael venne a guarire Avraham dall’operazione della milà e poi a salvare Lot dalla distruzione di Sodoma; Michael a dire a Sara che avrebbe avuto un figlio; e Gavriel a distruggere Sodoma (Zohar, Vayerà). Il Maimonide(Cordova, 1138-1204, Il Cairo) invece nelle Guida dei Perplessi (II, capitolo 42) scrive che ogni qualvolta si parla di qualcuno che ha visto o ha parlato ad un angelo, la Scrittura descrive una visione profetica. Il Maimonide sostiene quindi che tutto il racconto dellaparashàdall’inizio fino alla salvazione di Lot fa parte della visione profetica di Avraham.

    In ogni modo, secondo tutte le spiegazioni i racconti della vita dei patriarchi vengono a dare degli insegnamenti morali. In questo racconto la Torà vuole insegnare a imitare la generosità e la benevolenza per il prossimo del patriarca Avraham anche paragonando il suo comportamento a quello degli abitanti di Sodoma che invece aborrivano gli ospiti.

    Nel Talmud babilonese (trattato Sanhedrin, 109b) i maestri raccontano che quando a Sodoma arrivava un ospite veniva messo in un letto. Se era più lungo del letto gli tagliavano le gambe; se era più corto gli tiravano le gambe per arrivare alla lunghezza del letto. Viene anche raccontato di una ragazza che dava da mangiare ai poveri di nascosto; quando fu scoperta, fu spalmata di miele ed esposta agli insetti che la uccisero. Questo fu l’ultimo crimine di Sodoma che fece decidere la distruzione della città.

    Rav Yosef Shalom Elyashiv (Lituania, 1910-2012, Gerusalemme) in Divrè Aggadà (p. 43) scrive che normalmente quando qualcuno si lamenta lo fa per mancanza di mezzi o per problemi con i figli. Avraham si lamentava invece che non passavano persone da ospitare!

    Rav Joseph Beer Soloveitchik (Belarus, 1903-1993, Boston) in Mesoras Harav (p. 117) commenta che la crudeltà di Sodoma è rappresentata dal trattamento dato agli ospiti e agli stranieri e messa in contrasto al comportamento di Avraham. Perché di tutto il bene che faceva Avraham la Torà si dilunga nel descrivere il modo in cui trattava gli ospiti?  La risposta è che il più delle volte l’ospitalità viene fatta nei confronti di poveri perché i ricchi non ne hanno bisogno. La differenza tra la tzedakà, ovvero l’aiuto materiale, e l’ospitalità è che la tzedakà dimostra compassione nei confronti del prossimo.  L’accoglienza che si dà agli ospiti è invece un’espressione del fatto che ogni essere umano ha dignità e come tale ha uguale importanza. È molto più facile dare del denaro a chi ne ha bisogno e lasciarlo andare che accogliere una persona sotto il proprio tetto. Invitando nella propria casa chi ha bisogno di essere ospitato si mostra di trattare una persona da uguale, con rispetto, indipendentemente da quale sia la sua situazione.  L’ospitalità è simbolica del fatto che tutti gli israeliti sono persone nobili indipendentemente dalle differenze di stato sociale o intellettuale. Questo è il motivo per cui la Torà ci dà questa rappresentazione di Avraham.  

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