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    Commento alla Torà. Vayechì: i sette nomi del leone

    In questa parashà, l’ultima del libro di Bereshìt, viene raccontato come il patriarca Ya’akòv diede le sue benedizioni ai figli nell’ultimo giorno di vita.  È rimarchevole il fatto che in quattro di queste benedizioni (Bereshìt, capitolo 49) altrettanti figli vengano paragonati a degli animali. Il primo è Yehudà che viene paragonato a un cucciolo di leone (gur ariè) e anche a un leone con i nomi ariè lavì. Il secondo è Yissakhàr, paragonato a un asino da soma (chamòr gàrem). Il terzo è Dan paragonato a un serpente (nachàsh) e a una vipera (shefifòn). Il quarto è Naftalì paragonato a un cervo (ayalà).

    Riguardo al leone, nel Talmud babilonese (Sanhedrìn, 95a) viene citato R. Yochanàn che dice: “Il leone ha sei nomi: Arì, Kefir, Lavì, Làish, Shàchal, Shàchatz. In questo passo talmudico non viene spiegata la differenza che vi è tra questi nomi. Tuttavia Rashì (Troyes, 1040-1105) nel suo commento scrive: “In un altro posto viene spiegato perché [il leone] ha tutti questi nomi”.

    La fonte citata da Rashì è il Midràsh Yalkùt Shim’onì (capitolo 20) dove è scritto: “R. Levi disse che il leone ha sette nomi: Arì, Shàchal, Kefir, Lavì, Làish, Shàchatz e Gur Ariè”.  Evidentemente R. Yochanàn nel Talmud non concorda con R. Levi e ritiene che Gur Ariè Arì siano la stessa cosa e quindi elenca solo sei nomi.

    R. Levi spiega in questo modo il significato dei sette nomi del leone: si chiama Arì perché tutti lo temono (ir’asignifica timore); Kefìr perché chi lo vede nega (kofèr) di poter ancora vivere; Lavì perché strappa i cuori (levavòt) degli esseri umani; Làish perché la carne umana viene maneggiata (lash) dai suoi denti come della pasta; Shàchal perché ci si sente male (chal) alla sua presenza; Shàchatz perché lacera (meshachétz) con i suoi denti.  

    R. Meir Leibush Wisser (Ucraina, 1809-1879) detto  Malbim dalle sue iniziali, nel suo commento Hatorà Ve-Hamitzvà scrive che l’espressione cucciolo di leone (gur ariè) significa che Yehudà è forte come un leone adulto ed è anche veloce come un giovane leone.

    R. Naftali Tzevi Yehudà Berlin (Mir, 1816-1893, Varsavia) detto il Natziv dalle sue iniziali, nel suo commento Ha’amék Davàr spiega che nel mondo vi sono vari animali che sbranano la preda, come la tigre e l’orso. Il leone ha una caratteristica particolare: se vede un essere umano di livello superiore (adàm ha-ma’alà) si calma e si ritira. Yehudà  è paragonato a un leone perché nonostante la sua forza è in grado di controllare il proprio istinto. Egli aggiunge che questa profezia fu detta riguardo a quello che sarebbe avvenuto molti anni più tardi con re David che risparmiò la vita di Shim’ì figlio di Ghera nonostante le insistenze dei suoi generali e dei suoi consiglieri. Costui aveva maledetto re Davide mentre era in fuga quando il figlio Avshalòm  gli aveva usurpato il trono (II Shemuèl, 16: 5-12).

    R. Joseph Beer Soloveitchik (Belarus, 1903-1993, Boston) in Mesoras Harav (p. 359) commenta che Yehudà era figlio di Lea e la sua personalità radiava potere, autorità e prestigio. Come un leone Yehudà era un combattente invincibile che inseguiva i nemici senza sosta. Egli cita anche R. David Morgenstern, rebbe di Kotzk (1797-1859) che disse che Yehudà era un leone anche quando cadeva e commetteva un errore.  In quelle circostanze non aveva bisogno dell’aiuto di nessuno perché sapeva riprendersi da solo. Quando il fratello Yosef fu venduto, Yehudà non si comportò da leone. Commise un peccato ma si pentì. E anche nell’episodio di Tamàr egli  ammise di fronte a tutti che Tamàr aveva ragione (Bereshìt, 38:26).  

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