Dopo vent’anni di matrimonio, Yitzchàk e Rivkà ebbero i gemelli Esau e Ya’akòv. Esau viene descritto nella Torà come “un uomo che sa cacciare, un uomo da campagna”, mentre su Ya’akov è scritto che era “un uomo tutto di un pezzo che dimorava nelle tende”.
R. Avraham Kroll (Lodz, 1912-1973, Gerusalemme) in Befikudèkha Asìcha (p. 66) scrive che Esau era uno uomo a due facce (du-partzufì), con una doppia personalità. Per questo nella Torà, per descrivere Esau, la parola “uomo” è usata due volte. La sua essenza interiore era quella di un uomo da campagna, “che uccide”; esteriormente era invece un “cacciatore” che sapeva intrappolare e ammaliare le persone con le sue parole e fare credere di essere un giusto.
Rashì (Francia, 1040-1105) commenta che Esau fece credere al padre di essere un uomo giusto chiedendo “come si fa a separare le decime dal sale emdalla paglia”. Sale e paglia sono esenti dalla prelevazione delle decime, ma in questo modo Esau faceva credere di essere eccezionalmente puntiglioso nell’osservanza delle mitzvòt.
Esau si distingueva nell’osservanza di unamitzvà: quelladi onorare il padre. Nel Midràsh (Bereshìt Rabbà, 65:12) R. Shim’òn figlio di Gamliel disse:”Quando andavo a servire mio padre non facevo neppure un centesimo di quello che faceva Esau [… perché ] quando Esau andava a servire suo padre lo faceva con vestiti regali”. R. Kroll aggiunge che la parola vestito, in ebraico “bèghed”, ha la stessa radice bgd della parola beghidà, tradimento. Il vestito copre la persona e la può presentare in modo diverso da quello che è. Esau era nobile solo di fuori.
R. Aharon Kotler (Belarus, 1891-1962, New York), fondatore della yeshivàdi Lakewood nel New Jersey, disse (in Mishnàt Rabbi Aharon, II, p.70) che Esau si contraddistingue per il distacco tra teoria e pratica. Esau, cresciuto a casa della madre Rivkà aveva visto miracoli, e quando il padre diede le benedizioni a lui e al fratello, soffrì profondamente per il fatto che Ya’akòv ricevette la benedizione che secondo lui gli spettava. Egli sapeva l’importanza delle benedizioni. Con tutto ciò, quello che aveva imparato non ebbe effetto. Da qui, afferma rav Kotler si vede quanto sia forte l’istinto “animale” (yètzer) dell’uomo. Tutto quello che Esau aveva visto e imparato a casa dei genitori non servì a controllare il suo comportamento.
R. Ghedalià Schorr (Polonia, 1910-1979, Brooklyn) che fu a capo della yeshivà Torà Veda’at a Brooklyn, disse (in Or Ghedalyahu, p. 82) che per quanto Esau avesse in se molta malvagità aveva anche una scintilla di bene. La sua missione era quella di soggiogare il male che aveva in se. Egli cita R. Yizchàk Luria (Gerusalemme, 1534-1572, Safed) che spiegò che tutta la kedushà di Esau era nella sua bocca, non era quindi parte di lui ma solo una cosa esterna. Se Esau fosse riuscito a compiere la missione di soggiogare il male che aveva in se, avrebbe meritato di ereditare insieme al fratello la missione dei patriarchi: Ya’akòv nel fare il bene ed Esau nel soggiogare il male. Per questo è insegnato nel Midràshche Esau aveva la potenzialità di essere il patriarca di sei tribù e Ya’akov avrebbe avuto quindi solo sei tribù invece di dodici.
R. Kotler conclude citando R. Eliyahu, il Gaon di Vilna (Belarus, 1720-1797, Vilna), che, sulla base del Talmud (Sotà, 13a) scrisse che solo la testa di Esau fu sepolta nella grotta di Makhpelà insieme con i patriarchi, a dimostrazione di quanto grande fosse la sapienza di Esau e di quanto grande fosse il distacco tra la testa e il corpo. Come chi predica bene e razzola male.