Quando Israele fu davanti al Monte Sinai per ricevere la Torà, l’Eterno si
presentò a loro con queste parole: “Io sono l’Eterno tuo Dio che ti ha tratto
fuori dalla terra d’Egitto dalla casa di schiavitù” (Shemòt, 20:2).
R. Avraham ibn ‘Ezrà (Spagna, 1089-1167) nel suo commento alla Torà
dedica parecchie pagine al primo dei dieci comandamenti. In un passo di stile
unico egli scrive: “R. Yehudà Halevi,
che riposi con onore, mi aveva chiesto perché nel presentarsi al popolo
d’Israele durante la rivelazione del Sinai, l’Eterno disse «Io sono l’Eterno
tuo Dio che ti ho tratto fuori dalla terra d’Egitto» e non disse «che ho fatto
il cielo e la terra e Io ti ho fatto». R. Ibn ‘Ezra rispose che tra coloro che
credono nell’Eterno ci sono diversi livelli di fede. La maggior parte delle
persone crede a quello che ha imparato dai loro maestri. Le persone più erudite
credono sulla base di quello che hanno letto nella Torà che fu data da Dio a
Moshè. Tuttavia se un eretico cominciasse a discutere con loro dicendo che non
vi è un Essere Supremo, essi metterebbero le mani sulla bocca perché non
saprebbero come rispondere. D’altra parte se una persona si approfondisce nello
studio delle scienze che sono come dei gradini per aiutare a raggiungere la
destinazione desiderata, egli sarà in grado di riconoscere l’opera di Dio nei
metalli, nelle creature, e nello stesso corpo umano […]. Da quello che Dio fa
con la natura una persona può arrivare alla conoscenza di Dio. Per questo nella
Torà è scritto «Io sono l’Eterno tuo Dio», Dio che tu riconosci dalla natura.
Ma questo può essere apprezzato solo da persone che sono assai sagge […].
Tuttavia tutti hanno visto i miracoli fatti in Egitto, sia le persone sagge che
quelle poco colte, adulti e bambini. Per questo nella Torà è scritto prima «Io
sono l’Eterno tuo Dio» per le persone perspicaci e poi «Che ti ho tratto fuori
» in modo che anche coloro che non sono perspicaci possano capire”. Così R. Daniel Korobkin, nella sua introduzione al
Kuzari tradotto in inglese e annotato (Ed. Feldheim, 2009), riassume il
commento di Ibn ‘Ezrà.
R. Yehudà Halevi (Toledo, 1075-1141, Gerusalemme) nella sua opera
“Il re dei Khazari” (in ebraico “Kuzari”, tradotto in italiano da r. Elio
Piattelli, Ed. Boringhieri, Torino, 1960) riporta un dialogo immaginario tra il
re dei Khazari e un saggio ebreo. Il saggio disse al re: “Noi crediamo nel Dio
di Abramo, d’Isacco e di Giacobbe, che fece uscire i Figli d’Israele dall’Egitto
con segni e con miracoli e con prove, che li nutrì nel deserto, che fece loro
ereditare la terra di Canaan, dopo che li ebbe fatti passare il mare e il
Giordano con grandi miracoli…” (I, 11). Più avanti il saggio aggiunge: “… e
così cominciò Mosè a parlare con il Faraone, quando gli disse «Il Dio degli
ebrei mi inviò a te»» e cioè, il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, perché
la loro storia era nota fra le nazioni, e cioè che la parola di Dio era stata
loro comunicata, e li aveva governati, ed aveva fatto i miracoli; e non dice
«il Dio del cielo e della terra mi inviò da te, né il mio Creatore o il tuo
Creatore; e così Dio stesso cominciò le sue parole al popolo d’Israele: «Io
sono il Signore tuo Dio che ti trassi dalla terra d’Egitto» e non disse «io
sono il Creatore del mondo, e il vostro Creatore»; e nello stesso modo ho
cominciato, quando mi hai interrogato sulla mia fede; ti ho risposto con ciò
che io sono obbligato a credere, ed è obbligata a credere tutta la
congregazione d’Israele, davanti ai cui occhi si manifestò quello spettacolo; e
poi [tutto ciò che fu confermato da] la costante e continua tradizione, che è
come la vista degli occhi [è tanto certo come se avessimo visto tutto ciò con i
nostri occhi]” (I:25).
R. Yehudà Halevi
sosteneva che per il popolo ebraico la conoscenza di Dio deriva dall’esperienza
storica, dall’intervento di Dio nella storia. Al Sinai, Dio non si presentò
come il Creatore perché nessun israelita era presente alla creazione. La
rivelazione in Egitto e al Sinai sono fondamentali perché il popolo d’Israele
ebbe l’esperienza della presenza divina. Diversamente da R. Ibn ‘Ezrà e anche
dal Maimonide che per certi aspetti lo segue, Yehudà Halevi non condivideva il
metodo filosofico per la conoscenza divina. Israele conosce l’Eterno grazie
all’esperienza di avere visto l’intervento divino in Egitto e al Sinai e
secondariamente grazie al messaggio dei profeti. Tra questi vi è il profeta Yesha’yà che disse: “Levate gli occhi in
alto, e guardate: Chi ha create queste cose?” (Isaia, 40:26).