Skip to main content

Ultimo numero Novembre – Dicembre 2024

Scarica il Lunario 5785

Contatti

Lungotevere Raffaello Sanzio 14

00153 Roma

Tel. 0687450205

redazione@shalom.it

Le condizioni per l’utilizzo di testi, foto e illustrazioni coperti da copyright sono concordate con i detentori prima della pubblicazione. Qualora non fosse stato possibile, Shalom si dichiara disposta a riconoscerne il giusto compenso.
Abbonati







    Commento alla Torà. Parashà di Wayechì: Yosef perdonò i suoi fratelli oppure no?

    Yosef si rivelò ai suoi fratelli dicendo: “Io sono Yosef; mio padre è
    ancora vivo?” “I fratelli erano rimasti così spaventati che non gli poterono
    rispondere” (Bereshìt, 45:3). Poi
    Yosef cercò di calmarli dicendo loro di avvicinarsi e disse: “Non addoloratevi
    per avermi venduto qui; Dio mi ha mandato qui prima di voi per salvare vite,
    perché già da due anni c’è carestia nel paese e per altri cinque anni non vi
    saranno aratura e mietitura. Dio mi ha mandato qui prima di voi, per assicurare
    a voi la sopravvivenza nel paese e per salvare la vita di molta gente. Dunque
    non siete stati voi a mandarmi qui, ma Dio, ed Egli mi ha messo qui come
    consigliere al faraone, direttore del suo palazzo e governatore di tutto il
    paese d’Egitto” (ibid., 5-8).

    Il patriarca Ya’akov morì diciassette anni dopo e fu sepolto nella grotta
    di Makhpellà a Hevron. Al loro
    ritorno i fratelli temevano che Yosef serbasse rancore nei loro confronti e
    dopo la morte del padre avrebbe fatto pagare loro il male che gli avevano
    fatto. Quando vennero da lui, Yosef rispose: “Non temete. Sono forse io al
    posto di Dio? Del male che voi avevate pensato di fami, Dio si è valso a fine
    di bene perché rimanesse in vita, come è oggi accaduto, tanta gente” (ibid.,
    50:129-20).

    Il Maimonide (Cordova,
    1138-1204, Il Cairo) nella Guida dei Perplessi (II, 48) cita il versetto “Non
    siete stati voi a mandarmi qui, ma Dio” per spiegare degli eventi la cui causa
    dipende dal libero arbitrio di un essere umano. Il disegno divino richiedeva
    tutta una serie di azioni, compresa la vendita di Yosef da parte dei fratelli
    che agirono di propria libera volontà. I fratelli commisero un crimine
    volontario. Non fu per errore né per forza maggiore. La conclusione apparente è
    che essi erano colpevoli anche se parte di un disegno divino. R. ‘Ovadià Sforno (Cesena, 1475-1550,
    Bologna) commenta questi versetti affermando: “Non è il mio compito di
    giudicarvi né di giudicare i decreti di Dio. Io non posso punire dei Suoi
    agenti perché certamente voi eravate agenti dell’Eterno perché non siete voi
    che mi avete mandato qui, ma è stato l’Eterno”. Dal Maimonide e da R. Sforno
    non vi è alcuna indicazione se Yosef perdonò i fratelli indipendentemente dal
    fatto che fossero colpevoli o meno.

    Una prima indicazione viene da R.
    Shemuel ben Meir (Francia, 1085-1158) detto Rashbam nel suo commento alla
    Torà. Egli scrive che Yosef disse ai fratelli: “Il Santo Benedetto è stato la
    causa delle vostre azioni e voi non avete peccato nei miei confronti”. È
    evidente quindi che Yosef non pensava neppure che fosse necessario perdonare i
    fratelli perché non avevano peccato nei suoi confronti.

    Al contrario, R. Bechaye ben Asher
    ibn Halawa (Spagna, 1255-1340) nel suo commento alla Torà scrive: “I
    fratelli gli chiesero di perdonare. La Scrittura non evidenzia però se Yosef li
    abbia perdonati. I Maestri hanno insegnato che chi ha commesso un peccato nei
    confronti di un altro e ha fatto teshuvà (si
    è pentito) non riceve l’espiazione divina del peccato fino a quando non abbia
    rappacificato la parte lesa. Anche se la Scrittura menziona che Yosef li
    consolò e parlò ai loro cuori (ibid., 50:21), nonostante ciò nella Torà non
    viene usata la parola mechilà (perdono)
    né Yosef riconobbe che aveva cancellato il loro peccato. Pertanto essi morirono
    con la loro colpa senza ricevere il perdono di Yosef. R. Feivel Cohen (Brooklyn, 1937-) durante una sua lezione disse che
    nonostante il disegno divino è possibile che Yosef non riuscì a dimenticare il
    male che i fratelli gli avevano fatto e a forzarsi a perdonarli.  

    E anche nei Pirkè de-Rabbi Eli’ezer,
    che risale al periodo attorno alla distruzione del Bet Ha-Mikdàsh
    (I secolo e.v.), è scritto: “R. Yannai disse: le
    tribù [cioè i fratelli di Yosef] espiarono [il peccato del]la vendita di Yosef
    solo quando morirono […] e a causa della vendita di Yosef vi furono sette
    anni di carestia nella terra d’Israele”. Anche da questa fonte appare che Yosef
    non perdonò i fratelli perché se fossero stati perdonati non avrebbero avuto
    bisogno di ulteriore espiazione. Essendovi opinioni contrastanti, non si può
    dare una risposta certa alla domanda posta. 

    CONDIVIDI SU: