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    Commento alla Torà. Parashà di Terumà: oro di dentro e di fuori

    In questa parashà Moshè riceve l’ordine di raccogliere le offerte di materie prime e metalli preziosi per costruzione del Mishkàn, il Santuario mobile che avrebbe accompagnato gli israeliti nel loro viaggio nel deserto.

    Rashì (Troyes, 1040-1105) spiega che le offerte erano divise in tre categorie: la prima era quella del mezzo siclo d’argento donato da ogni uomo adulto tra 20 e 60 anni. I sicli vennero fusi per fabbricare le basi d’argento per le assi che dovevano costituire le pareti del Mishkàn. La seconda offerta era anch’essa di mezzo siclo a testa per acquistare i sacrifici pubblici. La terza offerta era di materiali per la costruzione del Mishkàn e dipendeva dalla generosità di ogni famiglia.

    Nel Mishkàn vi era l’arca con le tavole della legge. Le istruzioni per fare l’arca erano brevi: “E faranno un’arca di legno di acacia, di due cubiti e mezzo di lunghezza, di un cubito e mezzo di larghezza e di un cubito e mezzo di altezza. La ricoprirai di oro puro di dentro e di fuori sormontandola di una cornice d’oro all’intorno” (Shemòt, 25:10-11). Vari commentatori offrono spiegazioni allegoriche a questi versetti.

    R. Shelomò Efràim Luntshitz (Luntshitz, 1550-1619, Praga) nel suo commento Kelì Yakàr, si sofferma sul fatto che le misure dell’arca non erano numeri interi: due cubiti e mezzo di lunghezza, e un cubito e mezzo sia per l’altezza che per la larghezza. Tutto questo per insegnare che ogni persona deve pensare che non può sapere tutto e che ha ancora molto da imparare. Chi pensa di essere sapiente deve rendersi conto che nessuno può arrivare a sapere tutto e per questo i maestri insegnano nei Pirkè Avòt (Massime dei padri, 4:1) “Chi è sapiente? Chi impara da ogni uomo”. E così pure dobbiamo renderci conto che non possiamo raggiungere la conoscenza dell’Eterno. L’arca aveva quindi tre misure incomplete per alludere a tre fatti: che la nostra mente è limitata, che le cose da conoscere sono troppo profonde e che sono di infinita lunghezza, come scritto nel libro di Iyov (Giobbe, 11:7-9): “Puoi tu scandagliare le profondità di Dio? Puoi tu penetrare la perfezione dell’Onnipotente? Sono più alte del cielo: che cosa puoi fare? Sono più profonde dello Sceol: che cosa puoi sapere? La loro misura è più lunga della terra e più larga del mare”.  

    R. Mordekhai Ha-Kohen (Zefat, 1598-1680, Aleppo) in Siftè Kohen scrive che l’ordine nel versetto viene dato al plurale, “E faranno”, per insegnare che tutti sono obbligati a studiare la Torà contenuta nell’arca. È vero che nell’arca vi erano solo le tavole con i dieci comandamenti, ma R. Sa’adyà Gaon (Egitto, 882-942, Babilonia) aveva insegnato che i dieci comandamenti comprendono tutte le 613 mitzvòt della Torà.

    Rashì nel suo commento, scrive anche che Bezalel, l’artigiano a capo della costruzione del Mishkàn, fece tre arche: una di legno di acacia, e altre due d’oro, una da inserire in quella di legno e la seconda al di fuori di quella di legno.

    R. Shimshòn Nachmani (Modena, 1707-1779, Reggio Emilia) nella sua opera Toledòt Shimshòn (p.445), chiede per quale motivo Bezalel fece tre arche se il Santo Benedetto aveva dato l’ordine di fabbricarne una di legno di acacia ricoperta d’oro. Nel rispondere alla sua domanda egli cita il Talmud Babilonese (Yomà, 72b) dove i maestri affermano che un talmìd chackhàm, un sapiente di Torà, che non è sincero (lett. non è uguale di dentro come di fuori) non è considerato un talmìd chakhàm, perché riguardo all’arca è scritto: “La ricoprirai di oro puro di dentro e di fuori”. 

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