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    Commento alla Torà. Parashà di Tazria’-Metzorà’: il profeta e il generale

    Le parashòt di Tazria’ Metzorà’, che nella maggior parte degli anni si leggono insieme, trattano entrambe della piaga cutanea della tzara’at (simile alla parola psoriasi). Nel Talmud babilonese (trattato ‘Arakhìn, 15a) R. Shim’on ben Lakish afferma che le parole della Torà dove è scritto: “Queste è la legge del metzorà’” (di colui che è affetto da tzara’at) possono venire interpretate in questo modo: “Questa è la legge del motzì shem ra’” (del maldicente). In effetti da quanto insegnano i maestri nel trattato talmudico qui citato, appare che tzara’at denoti un nome generico per varie malattie della pelle e che la maldicenza sia solo una delle cause. Al foglio 16a è scritto: “R. Shemuel bar Nachmanì a nome di R. Yonatàn disse che le piaghe cutanee appaiono per sette motivi: maldicenza, spargimento di sangue, giuramenti falsi, relazioni sessuali proibite, arroganza, ruberie, grettezza”.

    R. Shemuel Edels (Polonia, 1555-1631, Ucraina) detto Maharsha, nel suo commento al Talmud, fa notare che in corrispondenza a queste trasgressioni vi sono sette diverse piaghe cutanee di varia gravità.

    Nella haftarà che segue la parashà di Tazria’ viene raccontato di Na’amàn, generale dell’esercito di ‘Aràm. Il testo della haftarà deriva dal libro di Melakhìm (2 Re, capitolo 5:1-2) dove è scritto: “Na’amàn, capo dell’esercito del re di Aràm (Siria), era un uomo in grande stima ed onore presso il suo signore, perché per mezzo di lui l’Eterno aveva reso vittoriosa Aràm; ma quest’uomo forte e prode era affetto da tzara’at. Ora alcune bande di Aram, in una delle loro incursioni, avevano condotta prigioniera dal paese d’Israele una piccola fanciulla, che era passata al servizio della moglie di Na’amàn”.

    R. David Feinstein (Belarus, 1929- ) in Kol Dodì (Haftaròt, p. 124-127) spiega che mentre è permesso prendere prigionieri durante una guerra, quando avvenne l’episodio raccontato nella haftarà, il Regno d’Israele e il Regno di Aràm non erano in guerra. Le forze di Na’amàn che presero prigioniera la giovane fanciulla non erano altro che banditi colpevoli di commettere ratti e ruberie. Na’amàn era responsabile per gli atti commessi dai suoi soldati e pertanto fu punito con la tzara’at per avere rapito la giovane.

    La giovane fanciulla riferì alla padrona, moglie di Na’amàn che nel Regno d’Israele vi era il profeta Elishà’ (Eliseo) che avrebbe fatto guarire il marito dalla tzara’at. Na’amàn venne dal profeta che lo istruì di lavarsi sette volte nel fiume Giordano e fu così che Na’amàn guarì dalla tzara’at. Impressionato dal risultato, Na’amàn promise di non adorare più gli idoli dicendo: “Ecco, io riconosco adesso che non v’è alcun Dio in tutta la terra, fuorché in Israele” (ibid., 15).

    Na’amàn offrì una ricompensa che il profeta rifiutò. Ma Ghechazì il servitore del profeta Elishà’, corse dietro a Na’amàn e gli chiese argento e vestiti, e come commenta Rashì (Ibid, 6:3) giurò che la richiesta era venuta dal profeta Elishà’. Quando Ghechazì tornò dal profeta Elishà’, il profeta gli disse che per quello che aveva fatto sarebbe stato punito e: “La tzara’at di Na’amàn s’attaccherà perciò a te ed alla tua progenie in perpetuo” (ibit., 27). In questo caso la tzara’at fu un punizione per un giuramento falso.  

    Nella haftarà della parashà di Metzorà’ viene raccontato di quattro persone con la tzara’at che si trovavano al di fuori delle mura della città di Shomròn (Samaria), la capitale del regno d’Israele e i maestri suggeriscono che si trattava proprio di Ghechazì e dei suoi tre figli. 

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