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    Commento alla Torà. Parashà di Nassò: maestro, musica!

    All’inizio della parashà è scritto che l’Eterno disse a Moshè di censire tutti i leviti della famiglia di Gershòn di età tra trenta e cinquanta anni chiamati al servizio nel Mishkàn, il tabernacolo mobile nel deserto.

    R. Naftalì Tzvi Yehudà Berlin (Mir, 1816-1893, Varsavia) nel suo commento Ha’amèk Davàr, cita il trattato talmudico ‘Arakhìn (11) dove viene fatto notare che nel versetto è scritto “servire il servizio” (la’avod ‘avodà) e non semplicemente “al servizio” (la’avodà). Questo indica che i leviti della famiglia di Gershòn erano addetti a un servizio che era parte di una altro servizio e cioè il canto e la musica.  

    R. Avraham Portaleone (Mantova, 1542-1612) fu un vero uomo del Rinascimento: chakhàm, scienziato e medico dei duchi di Mantova. Nella sua opera enciclopedica Shiltè Ha-Ghibborìm, egli tratta l’argomento della ‘avodà dei leviti nel Bet Ha-Mikdàsh di Gerusalemme in ben dieci capitoli. R. Portaleone introduce l’argomento affermando che vi sono degli sciocchi che pensano che gli strumenti musicali usati dai leviti nel Bet Ha-Mikdàsh fossero quelli rozzi dei pastori. Nulla di più falso. La musica era assai sofisticata e vi era una grande varietà di strumenti. Durante il regno di re Davide vi erano oltre 38.000 leviti e la selezione di coloro che venivano scelti per il Bet Ha-Mikdàsh era assai rigorosa per via della difficoltà dello studio, e solo 288 erano addetti a questo compito.  

    Il quarto capitolo dell’opera è un breve trattato sulla musica. Nel paragrafo intitolato “il numero di voci nel coro” egli scrive: “Sappiate che le otto voci che ho menzionato potevano, se volevano, essere cantate insieme da quattro cantanti. In questo modo potevano fare una “zimrà shelemà”, in italiano “un’armonia perfetta” se il primo cantava all’unisono, il secondo al ditono, il terzo con il diafente e il quarto con il diapason […].

    Re Davide grazie alla sua grande saggezza suddivise i 288 cantanti in gruppi. Egli non fece né più meno che ventiquattro gruppi ciascuno composto da dodici cantanti come descritto in Divrè Ha-Yamìm (I Cronache dei Re di Giuda, 25:7-31) dove viene fornita la lista dei ventiquattro gruppi.  Il maestro di musica era “Chenanyahu, capo dei leviti, che dirigeva l’esecuzione, perché era esperto” (ibid., 15:22). E dato il grande numero di musicisti e di cantanti è opportuno ritenere che avessero libri di musica per l’uso degli strumenti musicali e “usassero i libri per il canto come si usa fare oggi”.

    Prima di proseguire nel quinto capitolo a trattare gli strumenti usati nel Bet ha-Mikdàsh, R. Portaleone si scusa di non citare gli scritti sull’argomento del suo defunto maestro e rav di Mantova, Yehudà Moscato (Osimo, 1530-1593, Mantova). R. Moscato nella sua opera Nefutzòt Yehudà aveva scritto una derashà sulla musica nel Bet Ha-Mikdàsh, intitolata “Higayòn be-Kinòr” e R. Portaleone indica di aver scritto sull’argomento in modo diverso dal suo maestro.

    Nel quinto capitolo del Shiltè Ha-Ghibborim, rav Portaleone elenca ben trentaquattro strumenti musicali menzionati nel Tanàkh o nel Talmud. Per l’identificazione degli strumenti usò anche gli scritti di Plinio il giovane. Per la maggior parte riesce a identificarli e a tradurre i termini in italiano e rimane in dubbio per circa un terzo degli strumenti. Nella prima lista l’autore elenca nove strumenti inadatti ad accompagnare il canto e tra questi lo shofàr, il cembalo e il tintinnabolo. Nel sesto capitolo e in quelli seguenti vengono elencati strumenti il cui sono è piacevole ma troppo forte, come le trombe. Strumenti adatti erano invece il piffero, il flauto, il clavicordo, il liuto, la lira, l’arpa e la viola di gamba.  

    R. Portaleone e prima di lui rav Moscato, non furono i soli a trattare l’argomento della musica nei loro scritti di Torà. Nella sua opera Hon ‘Ashìr al trattato di Yomà (terzo capitolo, undicesima mishnà) R. Immanuel Chai Ricchi (Ferrara, 1687-1743, Modena) dedica un paio di pagine di commento sulla musica nel Bet Ha-Mikdàsh e menziona che il levita Hugros, citato nella mishnà, sapeva produrre canti di particolare armonia e aveva anche inventato un sistema di scrittura della musica.  


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