La Torà istruisce i giudici dei tribunali (batè din) che le decisioni vanno prese a maggioranza. Nella parashà è scritto: “Non seguire una
semplice maggioranza nelle sentenze punitive; e quando vi sono differenze di
opinione non bisogna votare in modo che [un giudice] vada contro la propria
opinione, per il fatto che i verdetti seguono sempre la maggioranza” (Shemòt, 23:2). Così traduce questo
versetto R. Shimshon Refael Hirsch (Amburgo,
1808-1888, Francoforte) che chiarisce il testo facendo uso della tradizione
orale. Nel trattato Sanhedrin (2a) è
infatti insegnato che quando un imputato è accusato di un crimine per il quale
la sentenza può essere la pena capitale, una semplice maggioranza non è
sufficiente. I batè din per questi
casi (oltre duemila anni fa quando, anche se assai raramente, poteva essere
comminata la pena capitale) dovevano essere composti da ventitré dayanìm (giudici): per assolvere
bastava la maggioranza di uno, dodici contro undici; per condannare era invece
necessaria una maggioranza di almeno due giudici. Da questo versetto si impara
anche che una volta che la decisione è stata presa l’opinione di minoranza è
totalmente “assorbita” in quella della maggioranza e diventa la decisione
unanime del bet din.
Da questa parashà si impara anche che il principio
della maggioranza si applica anche in questioni di halakhà. Così affermano in modo esplicito i maestri nel Talmud
babilonese (trattato Chullìn, 11a e
11b). Un caso classico che appare varie volte nel Talmud è quello di una
“maggioranza definita” (rubà de-ità kamàn).
L’esempio dato è il seguente: in una città vi sono
dieci macellai, nove vendono carne kasher e uno carne non kasher. Se si trova
della carne nel dominio pubblico la carne viene dichiarata kasher perché la
maggioranza dei macellai vendono carne kasher. Il principio espresso dai
maestri è che: “Tutto quello che esce da un gruppo misto, si presume che venga
dalla maggioranza” (kol de-parish me-rubà
parish, Ketubbòt, 15a) ed ha lo
stato legale della maggioranza.
R. Joseph Beer Soloveitchik (Belarus, 1903-1993, Boston) in Mesoras Harav (Shemòt, p. 207) scrive: “La legge in situazioni di una “maggioranza
definita” viene applicata a un gruppo il cui numero è controllabile, dove è
logicamente possibile condurre un’indagine dalla quale si possono trarre
risultati quantificabili. Il caso delle macellerie è tipico di questo tipo di
maggioranza. I maestri del Talmud discutono anche su come prendere decisioni
nei casi di una “maggioranza non definita” (rubà
de-letà kamàn). In questi casi R. Soloveitchik afferma: “La legge in
situazioni di una “maggioranza non definita” si riferisce a un rapporto (ratio)
che non è controllabile e non può essere espresso in modo concreto. Per
esempio, la massima che la maggioranza degli uomini non sono sterili e che la
maggioranza degli animali non sono malati, esprime una caratteristica generale
della maggioranza che non è limitata a un gruppo particolare che si trova in un
certo luogo in un certo momento […]. In entrambi i casi la halakhà non ha mai considerato il
principio della maggioranza come criterio di certezza. Dal punto di vista della
logica e della matematica la maggioranza indica solo una superiore probabilità
di successo. La formula della probabilità, […] vale sia per la maggioranza
definita che per quella non definita”.
R. Soloveitchik
aggiunge che considerare normale il comportamento della maggioranza e porre
l’enfasi su una maggioranza non definita sono conclusioni soggettive che derivano
dall’esperienza. Nella halakhà il
principio della maggioranza viene usato per risolvere situazioni nelle quale ci
si trova nel dubbio e quando non vi sono altri strumenti per decidere, come
chiare prove. Alla luce di questa analisi, possiamo capire perché i maestri
gradualmente ridussero l’uso del principio della maggioranza e lo limitarono
quasi esclusivamente nelle questioni rituali, come per esempio la kasherùt, dove la halakhà determina lo stato di un evento sulla base della probabilità.
Tuttavia nella legge civile e criminale il principio della maggioranza è
generalmente considerato inadeguato perché è impossibile decidere in questioni
che hanno effetto sul destino umano usando uno strumento legale come la
probabilità.