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    Commento alla Torà. Parashà di Ki Tetzè: la “Grande Guerra”

    “Quando andrai in guerra contro i tuoi nemici e l’Eterno, tuo Dio, te li darà nelle mani e tu li farai prigionieri, se vedrai tra i prigionieri una donna di bell’aspetto e avrai desiderio in essa tanto da volerla prendere per moglie, la condurrai a casa tua, ed ella si raderà il capo e si taglierà le unghie, si leverà la veste di prigioniera, abiterà in casa tua e farà cordoglio per suo padre e sua madre un mese intero; poi verrai da lei, e sarai suo marito e lei tua moglie. Se in seguito non ti piacerà più, la lascerai andare dove vuole, ma non la potrai vendere per denaro né trattarla da schiava, perché l’hai umiliata” (Devarìm, 21:11-14).

    Rashì (Francia, 1014-1105) nel suo commento spiega che la Torà parla solo in opposizione all’istinto naturale (yetzer ha-ra’), “perché se il Santo Benedetto non la permettesse, il combattente la sposerebbe in modo illecito; tuttavia se la sposasse, alla fine la odierà e avrà da lei un figlio ribelle”. Egli aggiunge che la donna “dovrà metter da parte i vestiti che portava quando è stata presa prigioniera perché  le figlie dei  goyìm si adornavano con vestiti attraenti prima delle battaglie per adescare gli altri”.  

    Rav Yosef Shelomo Elyashiv (Lituania 1910-2012, Gerusalemme) si meraviglia che la Torà permetta la bella prigioniera di guerra in considerazione dello yetzer ha-ra’ dei combattenti. Egli cita il Talmud babilonese (trattato Sotà, 43:a-b) dove viene spiegato che colui che ha paura viene esentato dal combattere e che si tratta della paura di morire in guerra per via dei propri peccati e non per la paura del nemico. Se così, andavano a combattere solo gli uomini giusti senza peccato. Così scrive anche R. Ya’akov ben Asher (Colonia, 1269-1343, Toledo)  nel suo commento Ba’al Ha-Turìm. E proprio per costoro è necessario permettere la bella prigioniera di guerra?  

    R. Chayim ibn ‘Attar ( Marocco, 1696-1743, Gerusalemme) nel suo commento Or Ha-Chayim scrive che a causa del peccato di Adamo alcune anime preziose, come quelle dei proseliti, erano diventate prigioniere della Sitrà Achrà, la parte opposta alla kedushà e in questo modo esse vengono liberate. Per questo è scritto “e avrai desiderio in essa” e non “la desidererai” per dire che desidererai la parte buona che si trova in lei.  

    R. Chayim Yosef David Azulai (Gerusalemme, 1724-1806, Livorno) nel suo commento Penè David scrive: Già i nostri maestri nel Midràshe i commentatori nelle loro derashòtdissero che il primo versetto (“Quando andrai in guerra”) si riferisce alla guerra che ognuno di noi combatte contro il proprio istinto naturale (yetzer ha-ra’). Egli aggiunge che si può spiegare che quando un essere umano commette una trasgressione anche le sue membra si sono abituate alloyetzer ha-ra’ e il peccato vi ha messo le sue radici. E quando faràteshuvà, i nemici che lo odiano di cui parla il versetto sono le sue membra. Quando si fa teshuvà è quindi necessario fare grandi sforzi per combattere non solo il proprio lo yetzer ha-ra’ ma anche quello che si è radicato nelle sue membra. Per questo è scritto “i tuoi nemici” al plurale. Ma l’Eterno te li consegnerà in mano e ti darà possibilità di purificarti dai peccati. E le parole “Li farai prigionieri” si riferiscono alle membra del tuo corpo che erano prigioniere dello yetzer ha-ra’ e si erano abituate a operare con lui e ti erano diventate nemiche. Senza l’aiuto dell’Eterno è impossibile resistere al nostro istinto naturale. Tuttavia basta il risveglio da parte nostra di fare teshuvà perché l’Eterno nella sua misericordia ci dia la forze per combattere la “Grande Guerra” contro lo yetzer ha-ra’ e di vincerla.   

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