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    Commento alla Torà. Parashà di Bemidbàr: siamo degli uomini, non dei numeri!

    Il quarto libro della Torà che è chiamato Bemidbàr con la prima parola della parashà dopo le parole di introduzione, è anche chiamato comunemente il libro dei Numeri perché è proprio qui che avviene il conto degli uomini abili alle armi.

    R. ‘Ovadià Sforno (Cesena, 1475-1550, Bologna) nel suo commento scrive che il censimento degli uomini abili alle armi era stato fatto proprio nel capo mese del secondo anno dall’uscita dall’Egitto perché, se non fosse stato per il peccato degli esploratori, il popolo d’Israele sarebbe entrato nella Terra Promessa marciando, con i popoli colà residenti che sarebbero fuggiti davanti a loro, senza bisogno di far guerra.  Il conto doveva essere fatto “contando i nomi” (Bemidbàr, 1:2). R. Sforno scrive che il conto doveva essere fatto in questo modo perché tutti gli uomini della generazione dell’Esodo erano designati dai rispettivi nomi che ne riflettevano la statura e il carattere. R. Sforno offre un commento simile all’inizio del libro di Shemòt, dove vengono elencati i nomi dei figli di Ya’akòv che vennero in Egitto e scrive: “Coloro che vengono qui menzionati erano degni di essere chiamati con il loro nome, che ne rifletteva il carattere e la statura. Questi uomini durante la loro vita furono un faro di luce cosicché la loro generazione non degenerò…” (Shemòt, 1:1).  

    In un successivo versetto della nostra parashà è scritto: “E riunirono tutta la comunità nel primo giorno del secondo mese, ed essi furono registrati sulla base dell’albero genealogico delle famiglie paterne, e vennero contati individualmente per nome” (ibid., 1:18).

    Rashì (Francia, 1040-1104) commenta che coloro che vennero contati portarono i documenti comprovanti il loro pedigree e testimoni della data di nascita.  

    R. Naftalì Tzvi Yehudà Berlin (Mir, 1816-1893, Varsavia), detto il Natziv, nel suo commento Ha’amèk Davàr, scrive invece che gli uomini che venivano contati vennero con un documento sul quale era scritto il nome e l’età  superiore ai vent’anni.

    R. Chayim Yosef David Azulai (Gerusalemme, 1724-1806, Livorno) nel suo commento Penè David alla parashà scrive: Qual è il significato dell’espressione “contando i nomi”? Egli spiega che chi odia una persona non ne vuole menzionare il nome e lo chiama con il patronimico o con un appellativo facendo in modo da non dover pronunciarne il nome. Egli cita il Midràsh (Bemidbàr Rabbà, 18) dove viene raccontato che David diceva che i suoi nemici Doeg e Achitofel non volevano menzionare il suo nome. R. Azulai suggerisce che quando Moshè disse : “Vedete che l’Eterno ha chiamato per nome Betzalel, figlio di Uri, figlio di Chur della tribù di Yehudà” (Shemòt, 31:2), per metterlo a capo della costruzione del Mishkàn, il fatto che lo chiamò per nome e con i nomi del padre e del nonno significava che Betzalel era particolarmente caro. R. Azulai suggerisce  che questa poteva anche essere l’intenzione della Torà quando l’Eterno disse a Moshè: “Ed Io ti ho conosciuto per nome e sei gradito ai miei occhi” (Shemòt, 33:12). E forse questo fu anche il motivo alla base della discussione tra il re Shaul e il figlio Yonatan. Poiché Shaul odiava David disse: “Perché il figlio di Yishai non è venuto al pranzo né ieri né oggi?” (Shemuel, 20:27 ) perché per via dell’odio che nutriva nei suoi confronti non ne voleva menzionare il nome. Yonatan invece, per via dell’affetto nei suoi confronti rispose: “David mi ha chiesto …”, mentre avrebbe potuto semplicemente rispondere “Mi ha chiesto”. Ma per il grande affetto che aveva nei confronti di David ne menzionò il nome. E proprio per quel motivo che Shaul gli rispose: “So che tu prendi le parti del figlio di Yishai…( Ibid., 30). E, conclude rav Azulai, nella nostra parashà le parole “Contando i nomi” vengono appunto per esprimere l’affetto dell’Eterno per gli israeliti.  

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