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    Commento alla Torà. Mikètz: quando la prigione è anche un’università

    La parashà inizia con le parole: “Alla fine di due anni interi il faraone fece un sogno” (Bereshìt, 41:1). Due anni da quando? I maestri (in Sèder ‘Olàm Rabbà, 2:59) ci informano che Yosef fu schiavo in casa di Potifàr per un anno. Quando la moglie di Potifàr lo denunciò falsamente al marito, Yosef fu messo in prigione dove rimase per dieci anni. Alla fine dei dieci anni incontrò in prigione i due ministri del faraone e ne interpretò i sogni. Il ministro capo dei coppieri venne liberato e perdonato ma si dimenticò di Yosef. Egli si ricordò di Yosef solo quando il faraone fece un sogno che nessuno sapeva interpretare.

    R. Yosef Shalom Elyashiv (Lituania, 1910-2012, Gerusalemme) in Divrè Aggadà (p. 112) scrive che Yosef era stato messo in prigione per un delitto che non aveva commesso e sembrava che non ci fosse “fine” alla sua prigionia e che non ci fosse nessuna speranza di tornare libero. E proprio quando sembrava che tutto fosse perduto, improvvisamente lo fecero uscire di fretta dal sotterraneo, perché quando arriva l’ora, il Santo Benedetto non fa aspettare neppure per un momento.

    R. Yosef Beer Soloveitchik (Belarus, 1903-1993, Boston) in Mesoras Harav (p. 300) spiega che la parola “fine” (ketz in ebraico) viene usata per denotare la fine di un processo. Nel Talmud e nel Midràshla parola “ketz” si riferisce alla redenzione messianica, alla fine dell’esilio e delle sofferenze. Anche per Yosef il giorno e l’ora della sua liberazione marcarono la fine di un processo.

    R. Shimshòn Nachmani (Modena, 1707-1779, Reggio Emilia) in Zera’ Shimshòn cita un midràsh (Bereshìt Rabbà, 89:2) che descrive quello che avvenne a Yosef con un versetto dei Tehillìm(Salmi, 40:5) dove è scritto: “Fortunato l’uomo che pone la sua fiducia nell’Eterno e non si volge ai superbi…”.  

    Il midràsh presenta una difficoltà perché i maestri dicono: “«Fortunato l’uomo che pone la sua fiducia nell’Eterno»: questo è Yosef. «E non si volge ai superbi»: a causa del fatto che Yosef pose la sua  fiducia nel coppiere [chiedendogli di ricordarsi di lui quando sarebbe uscito di prigione e di intercedere con il faraone per liberarlo], dovette rimanere in prigione per altri due anni”.

    La prima affermazione è in contrasto con la seconda! Insomma, Yosef aveva o non aveva fiducia nell’Eterno?

    R. Ya’akòv Yosef di Polnoye (1710-1784) in Toldòt Ya’akòv Yosef, spiega così: poiché Yosef si comportava in modo sovrannaturale con la sua totale fiducia nell’Eterno [e proprio per questo rischiò di essere giustiziato piuttosto di accedere alle richieste della moglie di Potifàr], avrebbe dovuto continuare ad avere fiducia nell’Eterno e non chiedere al ministro capo dei coppieri di intercedere per lui, anche se la cosa sarebbe stata totalmente ragionevole per altre persone.

    R. Meir Simcha Hakohen (Lituania, 1843-1926, Riga ), rav di Dvinsk, in Meshekh Chokhmà, commenta che la prigionia di Yosef fu opera della Provvidenza perché Potifàr “Lo mise nella prigione dove venivano richiusi i detenuti del Re” (ibid., 39:20)[i prigionieri politici]. E inoltre la prigionia dei due ministri del faraone fu per Yosef la conclusione della sua “università” nella quale imparò tutto il necessario per sapere come venivano condotti gli affari di stato alla corte del faraone. E questo lo preparò al suo compito di statista quando per avere interpretato il sogno del faraone, fu nominato viceré.    

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