Era la mattina del 17 dicembre 1973, esattamente 50
anni fa, quando un commando di terroristi palestinesi composto da cinque
persone mise a ferro e fuoco l’aeroporto di Fiumicino. Vennero uccise 32
persone, di cui 6 italiani; un jet venne distrutto e un altro sequestrato. I
cinque fedayn furono rilasciati dopo pochi mesi. Non fu avviato alcun processo,
e non si conoscono né gli esecutori né i mandanti.
La scelta di questo giorno, ossia il 17 dicembre,
non fu casuale. Infatti, per quella data, era stato fissato l’inizio del
processo contro tre terroristi palestinesi coinvolti nel fallito attentato di
Ostia del 14 gennaio 1973. Il gruppo terroristico giunse a Roma tramite un volo
proveniente da Madrid, trasportando un carico di armi e bombe. Iniziarono a sparare
nel terminal, prendendo in ostaggio diversi agenti, uno dei quali rimase
ferito. Un’ondata di panico si diffuse tra turisti e personale dell’aeroporto.
Successivamente, i terroristi arrivarono sulle piste. Il giovane finanziere
Antonio Zara, armato di pistola, si oppose con coraggio, ma venne ucciso,
colpito da una raffica di mitra. L’immagine del suo corpo a terra, immortalata
da Elio Vergani, vinse il premio Pulitzer. Tre fedayn si diressero verso un
aereo della Pan Am, in attesa di decollare per Teheran, e lanciarono tre
granate nella fusoliera. Nel rogo persero la vita trenta persone, tra cui una
bambina di nove anni di nome Monica De Angelis, insieme ai suoi genitori, tre
sottosegretari del governo marocchino e diversi turisti americani. Successivamente
salirono su un aereo della Lufthansa, che venne dirottato. Atterrò prima ad
Atene, successivamente a Damasco e infine in Kuwait. Lì il commando si arrese e
venne rinchiuso in una base militare. Dopo pochi mesi vennero rilasciati.
Quanto avvenne fu il più feroce attentato del
terrorismo internazionale nel nostro Paese, nonché l’inizio del cosiddetto
“Lodo Moro”, l’accordo che il governo italiano strinse con l’Olp e
con altre sigle palestinesi. Questo permetteva ai terroristi la libertà di movimento
lungo la Penisola, purché non colpissero obiettivi italiani. Un patto che però
non teneva conto degli ebrei, come emerse tristemente di lì a breve, con
l’attentato di matrice palestinese del 9 ottobre 1982 al Tempio Maggiore di
Roma dove perse la vita Stefano Gaj Taché e altre 40 persone rimasero ferite.