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    ITALIA

    Cari amici italiani, ecco le risposte a tutte le vostre domande…

    “Sì, ascolto musica, ma dopo il 7 ottobre ogni verso acquista un significato diverso, ogni canzone che contiene la parola “casa” diventa una preghiera”

    Cari amici italiani, vi ringrazio per le vostre telefonate e i vostri messaggi, in questi ultimi tre mesi. Mi chiedete com’è la situazione, se la fase critica è passata e come stiamo in questi giorni di guerra, quindi, ho deciso di concentrare tutte le risposte alle vostre domande in questo breve articolo, un po’ per tranquillizzarvi, un po’ per darvi il polso della situazione.

    No, la crisi non sta rientrando, e non si è tornati a nessun tipo di normalità. Non c’è nessun tipo di normalità alla quale tornare, il mondo che conoscevamo prima non c’è più. Si fa quel che si può, a volte molto di più del possibile per dare una parvenza di routine, ma i nostri ragazzi combattono al fronte da tre mesi e 136 ostaggi, tra cui due bambini e giovani donne, sono ancora nelle mani di terroristi che il 7 ottobre si sono macchiati di crimini prima inimmaginabili. Ora sì, immaginiamo e sappiamo. E il solo pensiero ci toglie il sonno. Sì, il tempo è bello, fa caldo e ogni tanto vado in spiaggia, ma ora c’è il rombo degli aerei militari e l’odioso battito di pale degli elicotteri che trasportano i feriti. E poi c’è la pubblicazione dei nomi dei caduti e le dolorose immagini dei video degli ostaggi. La vita continua, mi dite, ma la vita che conoscevamo prima si è fermata alle 6.29 del 7 ottobre. È iniziata una nuova vita, che richiede risorse esistenziali prima sconosciute e una forza che non nessuno pensava di avere.

    Sì, anche io che vivo nella zona centrale, ho una spranga che blocca la porta del rifugio antimissile, in caso di infiltrazione di terroristi nella mia città; e sì, anche io so che non serve a niente contro il colpi di Kalashnikov e RPG.  Sì, ascolto musica, per lo più musica israeliana, ma adesso ogni verso acquista un significato diverso, ogni canzone che contiene la parola “casa” diventa una preghiera. No, non siamo andati in vacanza a dicembre, da una guerra non si va in vacanza, e no, non abbiamo festeggiato il Capodanno e se facciamo acquisti o andiamo al ristorante è soltanto un atto di resistenza silenziosa. Eppure, non ci cospargiamo il capo di cenere, siamo pervasi da speranza e da ottimismo, lavoriamo, studiamo, facciamo sport e poi siamo costantemente abbracciati da tanti circoli solidali, i colleghi, i genitori della scuola, la squadra di pallacanestro, la chat del condominio, sono diventati tutti gruppi di supporto, spazi di condivisione e di guarigione. E come ho detto a mia moglie, non c’è crema che tenga, abbiamo tutti le borse sotto gli occhi, si dorme poco e male e poi si piange spesso. Dipende dalle giornate, è un po’ come andare sulle montagne russe.

    L’ultimo saluto a Shaul Greenglick H”yd, caduto a Gaza

    In questi mesi, umore collettivo e umore personale sono quasi sempre perfettamente sovrapponibili come due figure identiche. Sì, anche io ho fatto volontariato: ho preparato polpette per i soldati, riso per gli sfollati, ho raccolto arance e selezionato cipollotti e poi sono giunto alla conclusione che né la cucina né l’agricoltura fanno per me. No, non abbiamo superato le divisioni tra di noi, il 7 ottobre non ha cambiato le nostre opinioni politiche, ma abbiamo deciso di riporre gli striscioni e le bandiere, ci sarà tempo dopo per i confronti ideologici. Ora le bandiere, purtroppo, le tiriamo fuori dall’armadio per i funerali dei soldati, quando tutta la città accompagna il corteo funebre, una catena umana per le strade che portano al cimitero. E quando torniamo a casa e riponiamo le bandiere e speriamo che rimangano nell’armadio fino a Yom Haatzmaut.

    No, non gioco più a tennis in questi giorni, il mio compagno di gioco è stato arruolato come riservista e ora combatte nella Striscia di Gaza. No, non ho guardato le orribili immagini del massacro del 7 ottobre, nessun interesse professionale mi spinge a farlo, perché tra quei giovani corpi bruciati e mutilati ci sono parenti degli amici dei miei figli, il nipote della mia vicina di casa e il fratello di un ex collega. Per me non sono corpi, sono ancora persone. No, non ho paura e non ho mai pensato di fare le valigie e andarmene di qui, l’idea non mi ha sfiorato neanche per un attimo. Alcuni di voi mi hanno offerto ospitalità in Italia, ma io sono ancora fermamente convinto che Israele sia il posto migliore del mondo.

    Ai miei amici ebrei invece chiedo: Mi ymalel gvurot Israel? Chi racconterà le prodezze di Israele? Voi, amici miei. Venite qui, perché Israele ha bisogno più dei vostri cuori che dei vostri soldi. Condividere una storia su Instagram è importante per spiegare le ragioni di Israele, ma abbracciare il padre di un soldato lo è di più. Adesso la cosa più importante è esserci, vedere con i propri occhi quello che sta realmente succedendo, è il miglior contributo che potete dare al nostro Paese. Potrete tornare in Italia e raccontare come una Nazione sia risorta dalle ceneri per la seconda volta nella storia, e purtroppo non soltanto in senso figurato. E sì, anche io canticchio sotto la doccia, ripeto che tutto andrà bene e che l’ora più buia è quella che precede l’alba. Ma canto anche a squarciagola con Shlomo Artzi che anche io sono caduto e mi sono rialzato e con Arik Einstein grazie buona gentegrazie.

    E per concludere, voglio rispondere a coloro che mi chiedono che cosa mi preoccupa di più in questo momento. Una domanda difficile alla quale rispondere, perché sono tante le cose che mi preoccupano. No, non l’infamante accusa di genocidio contro Israele al tribunale dell’Aia, neanche l’eventuale allargamento del conflitto, né tantomeno se il Primo ministro si debba dimettere. Sono faccende complicate e io sono un uomo semplice. Il pensiero che mi assilla in queste notti insonni è quello degli ostaggi e dei nostri soldati al fronte. In queste lunghe notti d’inverno il mio unico pensiero è che stiano a sicuro e perlomeno al caldo.

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