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    Antisemitismo a sinistra di Gadi Luzzatto Voghera

    Che la destra abbia fatto sua la retorica antisemita non è un mistero. Più complessa e schizofrenica è invece la relazione tra tale retorica e la sinistra. 

    Antisemitismo a sinistra, scritto da Gadi Luzzatto Voghera, direttore del CDEC (Fondazione centro di documentazione ebraica), per Einaudi, analizza la tormentata relazione tra i movimenti progressisti e le fazioni apertamente o velatamente antisemite al loro interno. Secondo l’autore la sinistra europea avrebbe scelto di marginalizzare il problema diventando alla lunga incapace di risolverlo. L’antisemitismo è un problema di vecchia data che oggi è ammantato di pretesti politici. Le numerose crisi mediorientali, con i loro tragici risvolti politico-diplomatici, militari e umanitari, riportano continuamente alla realtà l’uso pubblico di stereotipi, immagini, richiami retorici legati a doppio filo con l’ideologia e il linguaggio del moderno antisemitismo politico. E la sinistra – secondo l’autore – farebbe ancora fatica a riconoscere questi elementi e a identificarli come problemi propri. Sarebbe più corretto affermare che l’antisemitismo marchia tutte le correnti ideologiche e che la sinistra socialista, comunista e riformista non ne sono esenti. Prendere le distanze dal vuoto e retorico linguaggio antisemita è possibile solo studiandone le origini, sciogliendo alcuni nodi concettuali e sposando la complessità di pensiero e analisi. 

    Le questioni centrali sulle quali l’autore pone l’accento sono sostanzialmente tre: quali elementi della retorica e del linguaggio antisemita sono sopravvissuti alla tragedia della Shoàh? In quale modo questa retorica si è trasformata in relazione allo Stato d’Israele e al sionismo? Perché la sinistra è afona di fronte ad aperte espressioni di quel linguaggio antisemita su cui sempre più spesso si ritrovano movimenti della sinistra radicale, del cattolicesimo pre-conciliare, della destra neo-fascista e neo-nazista, e del fondamentalismo islamista? 

    Tre secoli di storia sono raccontati in modo limpido, lineare in questo saggio che conta poco più di cento pagine. 

    Si parte dai termini formulati dall’abate francese Henri Grégoire negli anni Ottanta del Settecento finalizzati a descrivere i modi in cui l’emancipazione si sarebbe dovuta realizzare – preludio, secondo lui, di ogni futura liberazione (compresa quella dell’individuo in quanto tale) -; si passa poi alla “Questione ebraica” di Karl Marx e Bruno Bauer che all’ebreo in carne e ossa preferirono l’astratto capitalista, rispondente solo per particolari marginali alla realtà materiale delle comunità ebraiche o dei singoli individui. Si approda infine a ciò che questa astrazione ha prodotto: un personaggio che non esiste, appiattito, privo delle complessità che merita, bersaglio di una schizofrenia che lo rende prima vittima della Shoàh e poi carnefice nei confronti dei palestinesi. Un saggio che tratta le peculiarità dell’antisemitismo vecchio e nuovo con estrema lucidità.

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