Il 9 ottobre 1982 è una data indimenticabile per gli ebrei di Roma. Quella mattina di Sheminì Atzeret, durante la benedizione dei bambini, un commando di cinque terroristi palestinesi si posizionò di fronte l’entrata della sinagoga ed iniziò a mitragliare ed a lanciare granate sui presenti. Caos, grida, sangue. Quel giorno perse la vita un nostro fratello, un figlio: il piccolo Stefano Gaj Tachè, di soli due anni, e con esso il mondo intero. Il quartiere ebraico quella mattina si popolò velocemente di centinaia di correligionari, la scena che si pose loro davanti era quella di gente ferita, di sangue dappertutto, urla; sul cancello principale della sinagoga erano appesi un talled ed una maglietta. Il talled apparteneva al fratello di Stefano, Gadiel, la maglietta alla madre. Alla fine, dei cinque terroristi, venne verificata l’identità di uno solo: Osama Abdel Al Zomar, poi arrestato il 20 novembre 1982 in Grecia. Nei giorni successivi all’arresto, gli ebrei romani manifestarono fuori l’ambasciata di Grecia per la sua estradizione, che non avvenne mai. Si dice che riparò nella Libia di Gheddafi. L’antisionismo, forte più che mai in quel periodo, riuscì ad entrare nelle case degli ebrei palesandosi per la sua vera natura: intolleranza di matrice antisemita. Tra le due non c’è alcuna differenza, bisogna dirlo e sottolinearlo. Quella tensione politica nei confronti di Israele si era riversata in tutta Europa: a Roma, sul muro della piccola sinagoga romana di Via Garfagnana venne affisso uno striscione con su scritto “Bruceremo i covi sionisti”; poco tempo prima dell’attentato, durante un corteo sindacale venne lasciata una bara fuori alla sinagoga, in segno di oltraggio. Quella bara, purtroppo, l’abbiamo riempita. Stefano era innocente, eppure vittima di un lontano conflitto in Medioriente.
Ma com’è possibile che dei terroristi potessero muoversi liberamente con delle armi, senza essere notati? Perché quella mattina la pattuglia delle forze dell’ordine era assente? Perché i terroristi riuscirono a fuggire con così tanta facilità? La risposta è “Lodo Moro”, un patto segreto tra lo stato italiano (in particolare Aldo Moro, da cui l’accordo prende il nome) e l’OLP (Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina) in cui veniva garantita ai palestinesi la libertà di passaggio di armi ed esplosivi sul proprio territorio nazionale, in cambio della garanzia di non toccare obiettivi italiani, ebrei esclusi. Di nuovo gli ebrei non vengono considerati cittadini, ma “altro”. A pochi anni dalla Shoah, torna questa discriminazione. Quindi, oggi ricordiamo la scomparsa di Stefano Gaj Tachè, bambino ebreo, di soli due anni, ucciso dal terrorismo palestinese aiutato dall’Italia, dalla quale aspettiamo ancora risposta su gravi questioni di quel giorno e alla quale non smetteremo mai di chiedere giustizia.
Con grande stupore, il 3 febbraio 2015, nel suo primo discorso di insediamento come Presidente della Repubblica, Mattarella ha dichiarato “Il nostro Paese ha pagato, più volte, in un passato non troppo lontano, il prezzo dell’odio e dell’intolleranza. Voglio ricordare un solo nome: Stefano Taché, rimasto ucciso nel vile attacco terroristico alla Sinagoga di Roma nell’ottobre del 1982. Aveva solo due anni. Era un nostro bambino, un bambino italiano “. È la prima volta che Stefano viene ricordato come “bambino italiano”. Che il suo ricordo sia di benedizione.