“All’inizio della guerra d’indipendenza d’Israele, Zvi Ashkenazi, soldato del Palmach, scrisse: ‘La fondazione del nostro Stato non è segnata da celebrazioni, ma dal sangue. Abbiamo aspettato questo momento per due millenni, e adesso compiamo i sacrifici necessari per difenderlo’”. Con queste parole il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha aperto il suo discorso al Monte Herzl in occasione delle celebrazioni ufficiali per Yom Hazikaron. Il luogo è fortemente simbolico e legato alla giornata: situato nei pressi di Gerusalemme, vicino allo Yad Vashem, rappresenta il cimitero nazionale israeliano, dove si trovano i resti dello stesso Herzl, oltre a diversi altri padri della patria israeliani, leader sionisti e soldati caduti in guerra, tra cui i primi ministri Levi Eshkol, Golda Meir e Yitzhak Rabin, oltre ai presidenti Chaim Herzog e Zalman Shazar.
Questa mattina, tutto il paese si è fermato due minuti al suono delle sirene per omaggiare gli oltre 23mila caduti nei conflitti e gli oltre 3.100 cittadini uccisi negli attacchi terroristici dal 1948 ad oggi. Poi le cerimonie ufficiali, con il Capo del Governo e il Presidente Reuven Rivlin al Monte Herzl. Per Netanyahu una ricorrenza molto sentita. Come ha sottolineato, la giornata lo coinvolge direttamente, sia come Primo Ministro, che come fratello in lutto: Yoni Netanyahu, infatti, perse la vita nel 1976, ucciso durante l’operazione Entebbe in Uganda dai terroristi del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina che avevano sequestrato passeggeri ed equipaggio sul volo diretto da Tel Aviv a Parigi. Per questo Netanyahu ha evidenziato l’empatia che lo lega a tutta la popolazione, perché ogni famiglia ha perso almeno una persona cara impegnata a difendere il popolo d’Israele. “Da 73 anni non ci sono celebrazioni del Giorno dell’Indipendenza, Yom Hatzmaut, senza tenere presente il peso del dolore” ha dichiarato Netanyahu, collegandosi alle parole scrisse nel ’48 da Zvi Ashkenazi. “Questo numero, 73, esprime al meglio il concetto. È un numero profondamente inciso nella mente di tutti noi”. Proprio 73, infatti, furono i soldati che nel febbraio 1997 persero la vita in un disastro aereo. Ma 73 si collega anche a un’altra pagina triste dello stato israeliano: è l’anno della Guerra del Kippur, quando il Paese fu attaccato a sorpresa nel giorno della solenne ricorrenza e riuscì comunque a reagire con una grande vittoria. “Proprio il secondo giorno di guerra, interruppi i miei studi negli Stati Uniti per raggiungere i combattimenti. Il volo per Israele era pieno di soldati, ufficiali, riservisti. Tutti tornavano per difendere la propria patria. Ma quando tornai in America dopo la guerra per riprendere i miei studi, molti posti erano vuoti. […] La Guerra del ’73 e i tremendi sacrifici dei nostri soldati spianarono il percorso per la pace con l’Egitto. Ma ci diedero anche un importante insegnamento: non possiamo rimanere indifferenti alle minacce di guerra e di distruzione”. La simbologia del numero 73 si arricchisce anche di un altro episodio: proprio nell’anno 73, infatti, Masada fu messa sotto assedio dai romani. La città cadde, ma “Masada è diventata un valore sionista, un simbolo della guerra per la libertà”. Per questo non dobbiamo perdere la nostra speranza: “non dobbiamo rinunciare al sogno di generazioni. Grazie ai nostri eroi che sono sempre con noi, possiamo segnare 73 anni di vita, 73 anni di costruzione del Paese, di conquiste impressionanti, di prosperità significativa. 73 anni di dolore, 73 anni di rinascita” ha concluso Netanyahu.