In queste ultime settimane i meeting diplomatici che coinvolgono Israele si succedono a ritmo frenetico: l’incontro fra Herzog e Erdogan ad Ankara; il vertice fra Al Sissi, Bennett e il principe ereditario, in realtà il vero governante degli Emirati, Mohammed bin Zayed; gli incontri in Bahrein e in Marocco; le dichiarazioni dell’erede al trono e uomo forte dell’Arabia Mohammed bin Salman, per cui Israele non è più un nemico ma un potenziale alleato. E ora l’incontro record del Negev, che è iniziato ieri ed è ancora in pieno svolgimento, in cui sono a confronto i ministri degli esteri di Israele, Usa (che si sono già visto ieri per preparare la conferenza), Egitto, Emirati, Marocco, Bahrein: in sostanza l’asse principale della Lega Araba. Niente del genere si era mai visto prima; di solito quando questi paesi si consultavano, lo facevano per opporsi a Israele e a ogni ipotesi di normalizzazione dei rapporti.
Che questa situazione costituisca una rivoluzione per il Medio Oriente lo si vede anche dalle reazioni rabbiose e sanguinose del terrorismo, che dopo aver assassinato quattro israeliani pochi giorni fa a Beer Sheva, ieri ha ucciso altri due israeliani a Hedera. Sono città israeliane ben dentro la linea verde: prima la capitale del Negev, città in piena crescita economica e tecnologica, e ora la località industriale a metà strada fra Tel Aviv e Haifa, sede di un’importante centrale energetica e di un desalinizzatore, a due passi dalla località turistica e residenziale forse più prestigiosa di Israele, Cesarea. Conta anche il fatto che gli assassini erano cittadini arabi israeliani, legati molto probabilmente all’Isis più che ai movimenti palestinisti.
Per quanto orribile e sanguinosa, la risposta terrorista non è però in grado di mettere in dubbio la rivoluzione diplomatica. Anche perché essa non è motivata solo da buona volontà, desiderio di pace, speranza di consenso popolare, ma da un fattore fondamentale in ogni azione politica, la paura per un nemico comune che minaccia tutti. In questo caso l’Iran, che sovverte lo Yemen e l’Iraq, ha attaccato a varie riprese l’Arabia e il Bahrein usando movimenti satelliti, sta facendo sforzi giganteschi per costruire una macchina bellica aggressiva ai confini di Israele. Ma soprattutto lavora in maniera accelerata alla costruzione di un arsenale nucleare che le darebbe una forza di dissuasione pari a quella delle grandi potenze.
Come ha scritto il generale Yossi Kuperwasser, già direttore del Ministero degli Affari Strategici di Israele, “secondo il rapporto pubblicato il 4 marzo 2022 dall’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA),1 l’Iran ha già accumulato: 33,2 kg di uranio arricchito ad un livello molto alto del 60% (contro i 17,7 kg di novembre 2021); 182 kg di uranio arricchito ad un livello elevato del 20% (contro i 113 kg di novembre 2021); e circa 1.278 kg di uranio arricchito fino a un livello del 4,5% utilizzato per alimentare le centrifughe di arricchimento al 20% e al 60%. Il tasso di arricchimento è aumentato negli ultimi mesi da circa 4,9 kg di uranio arricchito al 60% al mese a 5,7 kg al mese. L’Iran gestisce già industrialmente centrifughe avanzate di diversi tipi, e quindi, se deciderà di arricchire questo uranio a livello militare (oltre il 90%), ci vorranno solo tre settimane circa per produrre 25 kg, cioè una quantità di uranio sufficiente per il primo ordigno nucleare esplosivo. Dopodiché, ci vorranno altre due settimane per produrre la quantità necessaria per un secondo ordigno esplosivo nucleare. Entro quattro mesi, l’Iran potrebbe avere abbastanza uranio arricchito a livello militare per quattro ordigni esplosivi nucleari.”
Nella conferenza stampa tenuta prime dell’apertura della conferenza del Negev dal ministro degli esteri israeliano Lapid e dal segretario di stato americano Blinken, i due ministri hanno detto che i loro paesi sono d’accordo nella volontà di impedire all’Iran l’armamento atomico. Solo che Blinken (e Biden) credono che il modo di farlo sia il rinnovo degli accordi che daranno all’Iran centinaia di miliardi dei dollari e la rinuncia alle sanzioni non solo contro lo stato ma anche contro i singoli terroristi e anche le loro organizzazioni, come le “guardia rivoluzionarie”. Si tratta di un’illusione, se non proprio di un inganno. E’ vero che il nuovo accordo chiederà all’Iran qualche sacrificio iniziale , ma, spiega ancora Kuperwasser, “in cambio della rinuncia dell’Iran alla maggior parte del suo uranio arricchito attuale, che lo allontanerebbe leggermente dallo status di stato alla soglia del nucleare, esso potrà continuare a sviluppare il suo programma nucleare senza timore di azioni punitive. Entro due anni potrà riprendere il funzionamento delle centrifughe avanzate. Due anni dopo, sarà in grado di aumentare senza limiti la quantità di uranio arricchito a un livello basso e, entro nove anni, sarà in grado di arricchire l’uranio a qualsiasi livello e in qualsiasi quantità, ottenendo così la capacità di produrre una grande quantità di armi nucleari.”
Tutto questo è al centro degli incontri e in particolare della conferenza odierna. Gli stati presenti, anche a nome degli altri minacciati (in prima luogo l’Arabia) chiederanno a Blinken di rinunciare all’accordo che giudicano pericolosissimo per la loro sicurezza e gli diranno, probabilmente, quel che ha già detto Israele: che non si considereranno legati ad esso, cioè che sono pronti a prendere iniziative militari dirette e indiretta contro l’Iran anche quando avrà firmato il nuovo accordo. Gli faranno presente che il principale beneficiario del nuovo accordo non saranno gli Usa o l’Europa ma la Russia. Insomma faranno tutte le pressioni possibili. E’ improbabile che riescano a smuovere la ferma decisione ideologica dell’Amministrazione Biden. Ma si presenteranno come un fronte unito, deciso a far pesare il loro valore strategico ed economico, per esempio riguardo al petrolio, diventato di nuovo strategico in seguito alla guerra in Ucraina. Che riesca a trovare una soluzione o che fallisca, com’è più probabile, questa conferenza segna l’inizio di una nuova era in Medio Oriente. Che deriva purtroppo non dalla volontà di pace ma dalla minaccia di un’aggressione atomica.