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    Un attentato sanguinoso a Gerusalemme, vigliacco e molto preoccupante

    Ieri c’è stato un nuovo attacco terroristico a Gerusalemme, con un bilancio molto pesante: un morto e tre feriti molto gravi da parte israeliana, oltre all’attentatore, a quanto pare solitario, liquidato per far cessare l’assalto. Vi sono diversi elementi preoccupanti. Il primo è il fatto che l’attentato sia stato condotto con un’arma da fuoco, e neanche una pistola ma una mitraglietta da guerra. Negli ultimi anni i terroristi avevano usato piuttosto coltelli o eventualmente automobili mandate ad alta velocità contro le vittime, cioè strumenti facili da trovare e giustificabili per i loro possibili altri usi. Questo per aggirare la vigilanza delle forze dell’ordine, ma anche per mostrare che il terrorismo nasceva autonomamente, era un “movimento popolare di resistenza”, e dunque doveva essere limitato un livello di “bassa intensità”. L’uso di armi da guerra cambia completamente questo quadro e apre scenari di conflitto militare vero e proprio. La seconda ragione di preoccupazione è che questo attentato è la nuova tappa di una serie di attacchi recenti ormai abbastanza nutrita: l’altro giorno c’era stato l’accoltellamento alle spalle di due poliziotti, e prima ancora altri assalti. Sembrerebbe il segnale di un ritorno alla serie di assalti terroristici di tre o quattro anni fa, che alcuni avevano presentato come “intifada dei coltelli”. Solo che oltre ai coltelli è entrata in gioco anche il mitra.

     

    La terza ragione di preoccupazione è che l’attacco è avvenuto nel quartiere ebraico della città vecchia, a due passi dal Kotel: le vittime su cui il terrorista ha scelto di sparare erano anche ebrei religiosi ben riconoscibili che tornavano dalle preghiere, oltre che soldati e poliziotti. Siamo nel centro della vita ebraica della capitale, non al confine con la zono islamica, come era accaduto con gli attacchi precedenti alla Porta di Damasco e dintorni.

     

    La quarta ragione infine è che il terrorista era un membro di Hamas, un insegnante di religione (la religione della pace, come qualcuno la definisce…) ma soprattutto uno dei dirigenti dell’organizzazione terrorista a Shuafat, un quartiere arabo “difficile” compreso nel territorio municipale di Gerusalemme. L’attentatore aveva dunque una carta di identità di residente che gli consentiva di muoversi liberamente e non aveva ostacoli o barriere di protezione a fermarlo. Hamas ha rivendicato ufficialmente l’attentato, ha patrocinato la solita cerimonia rivoltante della distribuzione di dolcetti ai passanti a Gaza, ed è stata anche in grado di organizzare un corteo a Shafuat sotto la casa dell’attentatore, condotto con uno slogan ritmato che promette altro sangue: “milioni di jihadisti stanno arrivando a Gerusalemme”. Di questa sfilata vi sono anche dei video che mostrano manifestatiti numerosi, ben organizzati e giovanissimi. Tutto ciò mentre Hamas conduce trattative col governo di Israele, avvalendosi della la mediazione egiziana, per ottenere la scarcerazione di centinaia o migliaia di terroristi condannati al carcere in cambio dei due civili che tiene sequestrati a Gaza: negoziati che secondo le voci che corrono sono in uno stato avanzato.

     

    Insomma vi è una rinnovata aggressività del terrorismo, che potrebbe preludere anche a un nuovo ciclo di lanci di razzi e di scontri intorno a Gaza. E’ molto probabile che la responsabilità di questa nuova fase di attentati sia dell’Iran, che cerca di distogliere l’attenzione dal proprio armamento atomico e di impegnare in attività antiterrorista l’esercito israeliano, disturbando la preparazione di un possibile attacco ai propri impianti atomici. Tutto ciò serve anche a mettere alla prova un governo israeliano assai diviso al suo interno, che comprende un partito islamico vicino alla Fratellanza Musulmana di cui anche Hamas è espressione, e che forse non reggerebbe alle tensioni di un nuovo conflitto aperto col terrorismo.


    Photo credit: REUTERS/AMMAR AWAD

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