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    Spade di ferro giorno 77 – La risoluzione dell’Onu

    Il testo del Consiglio di sicurezza

    Dopo quasi una settimana di trattative per produrre un testo su cui gli Usa non mettessero il veto, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato per la prima volta venerdì notte una risoluzione su Gaza con 13 voti a favore, nessun voto contrario e due astensioni (Stati Uniti e Russia, che si sono astenuti per ragioni opposte, ma non hanno usato il potere di veto). La delibera  prevede l’invio di maggiori aiuti a Gaza, chiede al Segretario Generale dell’ONU di nominare un coordinatore speciale per monitorare la consegna degli aiuti umanitarie e verificare che vadano effettivamente ai civili – dato che, aggiungiamo noi, essi finora sono stati per lo più sequestrati dai terroristi. Domanda di accelerare le consegne dei soccorsi, ma senza la richiesta originale di una “sospensione urgente delle ostilità” col pretesto di facilitarle. Si domandano invece “misure urgenti per consentire immediatamente un accesso umanitario sicuro e senza ostacoli, e di creare le condizioni per una cessazione sostenibile delle ostilità”, il che è un compromesso generico, visto che  queste “condizioni” possono essere interpretate in maniera diversa dai vari attori politici. Sul punto importante a proposito del controllo su ciò che è effettivamente contenuto dei rifornimenti, che cioè non si tratti di armi o altri mezzi militari, la risoluzione elimina la precedente richiesta che siano “esclusivamente” le Nazioni Unite a “controllare tutte le consegne di aiuti umanitari a Gaza fornite attraverso le rotte terrestri, marittime e aeree” e dunque implicitamente “mantiene l’autorità della sicurezza di Israele di ispezionare gli aiuti in ingresso a Gaza”, come ha detto l’ambasciatore israeliano all’Onu Gilad Erdan, ringraziando gli Usa “per la loro ferma posizione a fianco di Israele”. Si tratta comunque di una vittoria di Israele, che poteva temere di dover far fronte a una richiesta di cessazione immediata delle ostilità

     

    Le reazioni

    Tuttavia l’Onu continua a essere un’organizzazione profondamente ostile allo Stato ebraico, con una maggioranza precostituita contro di lui, la cui capacità di fare danno è limitata solo dal potere americano di veto. Secondo Erdan, l’Onu si è focalizzato solo sugli aiuti a Gaza, invece di occuparsi della “crisi umanitaria degli ostaggi”. “Israele continuerà la guerra fino al rilascio di tutti i rapiti e all’eliminazione di Hamas nella Striscia di Gaza,” ha detto invece il ministro degli Esteri israeliano Eli Cohen, definendo tuttavia “giusta la decisione del Consiglio di sicurezza che l’Onu garantisca una razionalizzazione nel trasferimento degli aiuti umanitari e assicurarsi che arrivino a destinazione e non ad Hamas”. L’ambasciatrice statunitense all’Onu, Linda Thoms-Greenfield, dicendosi sorpresa e delusa dal fatto che il Consiglio di sicurezza non sia stato in grado di condannare l’attacco di Hamas del 7 ottobre ha dichiarato: “Sappiamo che molto altro deve essere fatto” per affrontare “questa crisi umanitaria. Ma siamo chiari: Hamas non è interessata a una pace duratura”. Hamas ha rilasciato sabato una dichiarazione in cui afferma che la risoluzione dell’ONU è un “passo insufficiente”. “Nulla può giustificare l’orribile attacco lanciato da Hamas il 7 ottobre o il brutale rapimento di circa 250 ostaggi”, per la prima volta ha scritto ieri in un tweet il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres, aggiungendo la richiesta che tutti gli ostaggi “rimasti” nelle mani di Hamas siano “rilasciati immediatamente e senza condizioni”. È la prima dichiarazione che tiene conto delle ragioni di Israele pubblicata da Guterres, che finora era stato così poco equilibrato da meritarsi solo due settimane fa i ringraziamenti pubblici del capo supremo di Hamas Ismaël Haniyeh. Forse nel cambiamento di posizione ha avuto un peso il fatto che Gutierres ha finalmente accettato qualche giorno fa di vedere i filmati girati dagli stessi terroristi il 7 ottobre e raccolti da Israele. Ma il segretario dell’Onu ha poi commentato la risoluzione del Consiglio di Sicurezza, sostenendo che “possa contribuire a migliorare la fornitura degli aiuti tanto necessari, ma un cessate il fuoco umanitario è l’unico modo per iniziare a soddisfare i bisogni disperati della popolazione di Gaza e porre fine al loro incubo in corso”.

     

    Gli sviluppi operativi

    Qualcosa sta cambiando sul campo a Gaza. Vi sono alcune zone nella parte settentrionale della Striscia che le forze armate israeliane hanno dichiarato completamente sotto controllo e in cui le truppe sono passate da una formazione di attacco a una di mantenimento, che evidentemente implica un minore impegno di uomini e mezzi. L’offensiva prosegue nella parte meridionale, ma in maniera più mirata, con un minor numero di bombardamenti. Israele però ha comunicato all’Egitto di voler ottenere il controllo completo della zona di frontiera che lo separa da Gaza, chiedendo un coordinamento per evitare problemi. Il punto focale degli scontri è ora a Rafah, che è per l’appunto il valico di frontiera con l’Egitto.

     

    La guerra marittima

    Un incidente grave è accaduto nell’Oceano indiano, a circa 200 miglia nautiche (350 chilometri) a sudovest del porto indiano di Veraval, nel Gujarat. Una petroliera è stata attaccata da un drone e ha preso fuoco, senza danni alle persone, ma con seri problemi per la nave, che è incapace di procedere con i suoi mezzi ed è attualmente soccorsa dalla Guardia Costiera indiana. All’inizio i media avevano attribuito l’attacco agli Houti aggiungendo che la petroliera era di proprietà israeliana. Risulta invece che la nave si chiami ‘Chem Pluto’, appartenga alla compagnia di navigazione indiana ‘Macsons’ e sia stata colpita mentre trasportava un carico di petrolio da un porto dell’Arabia Saudita al porto di Mangalore in India. Nessun rapporto con Israele dunque; il drone sembra anche essere stato lanciato dall’Iran che dista seicento chilometri, mentre lo Yemen è a oltre 1500. Bisogna ricordare che di recente gli Stati Uniti hanno accusato l’Iran di essere ”profondamente coinvolto” negli attacchi dei ribelli Houthi contro navi commerciali nel Mar Rosso, mentre un comandante delle guardie rivoluzionarie iraniane Mohammad Reza Naqdi ha minacciato pubblicamente: gli Usa e Israele  “dovranno aspettarsi presto la chiusura del Mar Mediterraneo, dello Stretto di Gibilterra e di altri corsi d’acqua”. È evidente che l’operazione internazionale per garantire la sicurezza dei mari dalla pirateria dell’Iran e dei suoi alleati è sempre più urgente.

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