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    Spade di ferro giorno 50. Sospesa la liberazione del secondo gruppo dei rapiti

    Il colpo di scena di Hamas

    Alle sei di stasera Hamas ha comunicato di
    sospendere la liberazione del secondo gruppo di rapiti, fino a che Israele
    “continua a violare” i termini dell’accordo. La violazione consisterebbe nel
    fatto che Israele non consentirebbe ai rifornimenti di arrivare nella parte
    settentrionale di Gaza (il che è falso perché si sono visti in rete i filmati
    dei camion dei soccorsi nella città di Gaza) e non consegnerebbe i terroristi
    condannati in ordine d’anzianità come stabilito. Su questo punto è difficile
    avere conferme, ma è ovvio che la lista dei detenuti sia stata oggetto di
    trattative. Al momento non si capisce se Hamas stia facendo un gioco di nervi
    con Israele o se abbia deciso di rinunciare alla tregua. Funzionari della
    sicurezza dei Israele hanno dichiarato che “L’organizzazione terroristica di
    Hamas sa che se i rapiti non verranno rilasciati entro mezzanotte (23 in
    Italia), torneremo alle azioni militari”.

     

    Il cessate il fuoco ha funzionato per un giorno

    La tregua provvisoria fra Israele e i gruppi
    terroristi iniziata ieri mattina alle 7 e giunta ormai alla durata di un giorno
    e messo, per un giorno aveva tenuto. Vi erano state alcune violazioni
    significative ma minori, alcuni razzi sparati pochi minuti dall’inizio del
    cessate il fuoco su villaggi nella cintura di Gaza; un missile antiaereo contro
    un drone israeliano che volava nella baia di Haifa, dunque ben dentro il
    territorio israeliano, abbattuto a sua volta da antimissili; il tentativo dei
    terroristi di spingere folle di arabi che si erano rifugiati nella zona
    meridionale di Gaza a cercare di tornare a casa rendendo di nuovo impossibili
    le operazioni israeliane, che è stato respinto con un uso molto limitato di
    armi da fuoco. Ma nel complesso non vi erano state imboscate e attacchi
    terroristici, anche l’attività del fronte settentrionale e delle squadre
    palestinesi in Giudea e Samaria era molto diminuito: Hamas si è limitato a
    uccidere e barbaramente appendere per i piedi a una palizzata due arabi di
    Tulkarem accusati senza processo di collaborazione con gli israeliani.

     

    La liberazione dei rapiti

    Ieri sera sono stati liberati come previsto 13
    cittadini israeliani rapiti da Hamas, quasi tutti del kibbutz Nir Otz o presi
    mentre vi erano in visita: Adina Moshe, 72 anni, a cui i terroristi hanno
    ucciso il marito; Aviv Katz Asher (2 anni), Raz Katz Asher (5), la loro madre
    Doron Katz Asher, la cui madre Efrat (69 anni) è stata anche assassinata il 7
    ottobre; Margalit Moses, 78 anni, in convalescenza da un cancro, carissima
    amica di Efrat Katz, appena nominata; Danielle Aloni (44 anni) e la sua figlia
    di sei anni Emelia; Ruthie (72), Keren (55), e Ohad Munder, quest’ultimo ha
    compiuto in prigionia i suoi 9 anni; Yaffa Adar, 85 anni; Hannah Katzir, 78
    anni, di cui era stata annunciata la morte per mano dei terroristi. Si tratta
    dunque di un gruppo di donne molto anziane e di madri con bambini; nessuna di
    loro è una combattente o è stata accusata di alcun reato, se non di essere
    ebree. Accanto a loro, senza richiesta di riscatto, sono stati rilasciati dieci
    rapiti thailandesi e un filippino. Oggi dovevano essere liberati altri 14
    rapiti, un gruppo più o meno con la stessa composizione demografica. Qualunque
    persona minimamente onesta, quale che sia la sua posizione politica e il suo
    ruolo istituzionale,  dovrebbe riconoscere
    che il loro rapimento e il loro successivo imprigionamento è un reato
    gravissimo, uno dei peggiori che si possano commettere. E però, come molte
    “femministe” non hanno protestato per gli stupri e i femminicidi di massa del 7
    ottobre, così illustri docenti universitari e opinionisti non si sono sprecati
    a condannare il sequestro di persona.

     

    I terroristi scarcerati

    Per contrasto, nella lista dei prigionieri
    condannati da regolari tribunali israeliani per gravi reati di terrorismo
    (anche se sono stati esclusi i terroristi colpevoli di omicidio), che vengono
    liberati in questi giorni figurano fra le donne Misoun Mussa, condannata a 15
    anni per un attacco con accoltellamento nel 2015 contro un soldato israeliano a
    Gerusalemme; Marah Bakeer, arrestata nell’ottobre 2015 dopo aver accoltellato
    un poliziotto della polizia di frontiera e condannata a otto anni e mezzo di
    prigione; Asra Jabas, una palestinese di Gerusalemme Est che ha fatto esplodere
    un serbatoio di gas sotto la sua custodia a un posto di blocco vicino a Ma’ale
    Adumim, ferendo un agente di polizia. Vi sono poi 123 ragazzi con meno di 18
    anni, fra cui cinque quattordicenni, tutti condannati per atti di violenza che
    vanno dall’accoltellamento all’investimento automobilistico, al tiro di bombe molotov,
    al tentativo di omicidio per mezzo di grossi sassi buttati contro i finestrini
    di automobili in corsa. Ogni equivalenza morale è del tutto improponibile.

     

    Gli sviluppi politici

    Israele sa che il lavoro di pulizia dal terrorismo
    della Striscia di Gaza non è affatto terminato e intende riprendere la guerra
    dopo la fine della tregua per la liberazione dei rapiti, che dura fino a lunedì
    e può prolungarsi secondo l’accordo per ancora qualche giorno se Hamas sarà
    disposto a rilasciare altri sequestrati. L’Egitto ha confermato oggi la
    possibilità di un prolungamento “di un giorno o due”. Al di là dei colpi di
    scena tattici per alzare il prezzo, l’interesse dei terroristi è certamente
    opposto: prolungare la tregua per poter ricostruire le forze e riprendere il
    potere su Gaza, dopo aver ottenuto l’uscita dalla Striscia delle truppe
    israeliane usando la pressione internazionale. Per questo scopo i nemici palesi
    e occulti dello Stato di Israele lavorano con forza: non solo i manifestanti in
    piazza, siano islamisti o ultrasininsitri, ma anche governi e istituzioni
    internazionali, a partire dall’Onu.

     

    Il Qatar, il Belgio e la Spagna

    Stamattina è arrivato in Israele una delegazione del
    Qatar, che appoggia diplomaticamente Hamas, ne ospita i dirigenti, gli fa da
    altoparlante mediatico con l’emittente internazionale Al Jazeera, ma si è
    ritagliato un ruolo di mediatore soprattutto grazie all’accondiscendenza
    americana. Il Qatar dichiaratamente lavora per estendere la tregua e renderla
    stabile (fino a quando i terroristi non vorranno romperla di nuovo). Israele è
    costretto ad ascoltarlo, se vuole liberare per via diplomatica qualche altro
    rapito. Le riunioni sono in corso in vista della scadenza di lunedì. Ieri
    invece si sono presentati al valico di Rafah due primi ministri dei governi più
    ostili a Israele, quello spagnolo e quello belga (mancava l’Irlanda per
    completare il quadro): personaggi politici che non hanno avuto neppure il buon
    senso o il minimo di ipocrisia di esprimere solidarietà a uno stato aggredito
    dal terrorismo e ai suoi cittadini massacrati, né hanno pensato bene di
    visitare Israele, ma sono andati in Egitto in occasione del rilascio dei rapiti
    solo a far pressione “per la pace”, in sostanza per riconsegnare Gaza ad Hamas.
    È una posizione moralmente insostenibile e politicamente debolissima (anche se
    la Spagna ha purtroppo la presidenza di turno dell’Unione Europea fino alla
    fine dell’anno). Ma bisogna citarla per comprendere i problemi e le pressioni
    che investiranno Israele nei prossimi giorni per rinunciare a combattere e
    lasciare la vittoria a Hamas.

     

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