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    Spade di ferro – giorno 38. Il nuovo antisemitismo

    Le due guerre

    Ci sono due guerre in corso in questo momento fra Israele e
    Hamas. Una è quella sul terreno, che a sua volta ha vari aspetti: la guerra sul
    terreno e quella aerea, il conflitto al nord e le operazioni antiterrorismo che
    si svolgono soprattutto in Giudea e Samaria per prevenire l’apertura di un
    fronte di attentati, l’aggressione di missili e droni dallo Yemen, che data la
    distanza e i mezzi degli islamisti yemeniti è ininfluente sul piano militare,
    ma se non è attentamente monitorata e contrastata dalle tecnologie antimissile
    israeliane (e anche dall’azione di Usa, Arabia Saudita ed Egitto che abbattono
    i proiettili sul loro territorio e sul Mar Rosso), potrebbe colpire i civili
    israeliani. Questa guerra sta procedendo in maniera assai migliore di quel che ci
    si potesse aspettare. Gli attacchi da nord si intensificano ma finora restano
    più segnali politici da parte di Hezbollah e della Siria che tentativi di
    aprire davvero il secondo fronte.

    Il fronte di terra

    La maggior parte del territorio di Gaza è ormai sotto
    controllo israeliano, i militari caduti nell’operazione sono alcune decine –
    perdite dolorosissime ma limitate rispetto all’aspettativa. Anche i civili
    palestinesi, che Israele cerca per quanto è possibile di non colpire, sono
    stati coinvolti nelle operazioni assai meno di quel che poteva accadere in una
    guerra condotta con bombardamenti e combattimenti fra le case. Dei morti di
    Gaza, che il ministero della sanità di Hamas, dunque una fonte interessata, stima
    intorno ai 12 mila, probabilmente i due terzi sono terroristi inquadrati nelle
    unità di Hamas. Gli altri sono rimasti intrappolati nei combattimenti perché
    non hanno voluto seguire le indicazioni di fuga diffuse dall’esercito
    israeliano, o perché Hamas glielo ha impedito, per usarli come scudi umani.
    Altri sono vittime collaterali dell’eliminazione mirata dei capi terroristi,
    che si trovavano accanto a loro.

    Le perquisizioni della grande caserma

    Le forze armate israeliane ora stanno svolgendo il compito
    molto lungo e difficile di andare di casa in casa nelle zone conquistate alla
    ricerca di terroristi, depositi d’armi, ingressi di tunnel. Per ora il
    combattimento sotterraneo è raro: si preferisce far saltare le imboccature dei
    pozzi che portano alle gallerie, o magari tutto il tratto che è possibile
    raggiungere dalla superficie, per sigillarle. I tunnel distrutti in questa
    maniera sono finora un paio di centinaia. Sono per il momento istallazioni periferiche,
    progettate come strumenti d’attacco contro i soldati. Sarà più difficile fare
    altrettanto con le grandi basi sotterranee, dove è certo ci siano i comandanti
    del terrore e soprattutto i rapiti del 7 ottobre. In questa capillare
    perquisizione che è iniziata dal lato settentrionale della Striscia sono emerse
    molte armi, apparecchi di trasmissione, materiali militari, esplosivi, piani di
    battaglia, ma anche un’edizione del “Mein Kampf” di Hitler fittamente
    sottolineata e annotata, che il presidente israeliano Yitzhak Herzog ha
    mostrato alla stampa internazionale. Insomma, si conferma che tutta la striscia
    di Gaza, per i suoi 40 chilometri di lunghezza è stata trasformata da Hamas in
    una caserma e in una roccaforte terrorista.

    La guerra della politica

    L’altra guerra si svolge dentro l’opinione pubblica e ha per
    teatro soprattutto le piazze occidentali. È chiaro che i terroristi stanno
    perdendo e continueranno a perdere la guerra sul terreno, se essa continuerà.
    La sola loro speranza è che la campagna israeliana sia interrotta per ragioni
    politiche, come furono interrotte prima della conclusione le sei campagne
    precedenti (2006, 2008, 2009, 2012, 2014, 2021) provocate dai bombardamenti
    missilistici che venivano da Gaza. Se così accadesse anche questa volta, se
    Israele dovesse ritirarsi senza aver sradicato Hamas, i terroristi avrebbero in
    sostanza vinto e si potrebbero preparare alla prossima campagna. Il loro
    terreno di scontro è dunque l’opinione pubblica occidentale. I paesi dell’area,
    al di là delle parole, si dividono fra alleati e nemici dell’Iran e della
    fratellanza Islamica di cui i terroristi di Gaza sono espressione. Ai loro
    nemici, come Egitto, Arabia, paesi del Golfo, non dispiace che i terroristi
    siano sconfitti. L’appoggio di Russia e Cina è un cinico tentativo di mettere
    in difficoltà l’Occidente, con altre mire (Ucraina, Taiwan).

    Il nuovo antisemitismo nelle piazze occidentali

    Dove l’opinione pubblica si divide è dunque l’Europa e gli
    Usa. Qui sono favorevoli ad Hamas buona parte degli immigrati islamici, che in
    certi paesi sono tantissimi, e la sinistra ideologizzata, che vede Israele come
    un paese “bianco” e capitalista, espressione di quella democrazia occidentale
    che essi detestano. Ma soprattutto in questa sinistra e nell’estrema destra
    extraparlamentare che li fiancheggia, riemergono le vecchie pulsioni
    antisemite, l’odio per gli ebrei in quanto tali. Accade così che anche in sede
    europea i governi più di sinistra (come la Spagna, il Belgio o l’Irlanda) siano
    i più nemici di Israele, che ci sia per esempio un parlamentare dell’estrema
    sinistra francese David Guirad di “La France Insoumise” (“La Francia ribelle”)
    che ha il funebre coraggio di andare in giro a dire che l’uccisione dei bambini
    ebrei e lo sventramento delle donne ebree del 7 ottobre sarebbe opera
    dell’esercito israeliano. Gira un appello nelle università italiane, firmato
    dai docenti di estrema sinistra, in cui sotto un sottile velo di equidistanza
    si attribuisce al “colonialismo” israeliano la responsabilità di quel che è
    accaduto: un colonialismo che risalirebbe a “75 anni” fa, cioè alla fondazione
    dello Stato di Israele, che quindi meriterebbe di essere distrutto con le buone
    o con le cattive, come cerca di fare Hamas. Dappertutto non solo gli immigrati
    islamizzati, ma anche studenti ideologizzati fanno manifestazioni massicce e
    strappano perfino i manifestini in cui vengono ricordati nome e facce dei morti
    e rapiti del 7 ottobre: il contrario esatto della memoria che viene esaltata il
    27 gennaio. Lo scopo di questa guerra delle piazze e dei manifesti è far
    pressione sui governi occidentali perché costringano Israele a interrompere
    l’operazione e a lasciare in piedi Hamas, con tutte le nuove stragi di ebrei
    che questa sopravvivenza del terrorismo implica per il futuro. Ma quando si
    obietta che queste posizioni sono antisemite, la risposta sdegnata è che “i
    genocidi” ora sono gli israeliani e che altra cosa è opporsi al governo
    israeliano e altra onorare i morti provocati dal nazismo. Insomma, a questo
    nuovo antisemitismo gli ebrei piacciono solo da morti.

     

     

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