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    Spade di ferro – giorno 36. Le pause umanitarie e gli ospedali

    Perché il cessate il fuoco non è possibile

    I sostenitori dell’islamismo in tutto il mondo, seguiti
    dai “pacifisti” più o meno sinceri, continuano a richiedere un “cessate il
    fuoco” che poi rapidamente diventerebbe una tregua a tempo indeterminato:
    esattamente lo stato che vigeva prima del 7 ottobre e che ha permesso la
    preparazione della strage. Hamas, colpita duramente ma non annullata,
    riprenderebbe il potere su Gaza, userebbe gli aiuti internazionali (non solo
    quelli dell’Iran da cui dipende e del Qatar e della Turchia che la appoggiano
    per solidarietà ideologica) non per dare sollievo alla popolazione ma per
    ricostruire il proprio arsenale. L’ha dichiarato con molta franchezza in
    un’intervista ai giornali occidentali l’altro ieri Khalil al-Hayya, vice leader
    di Hamas nella Striscia di Gaza: “L’obiettivo di Hamas non è governare la
    Striscia di Gaza e fornirle acqua ed elettricità, né migliorare la sua
    situazione. Questa battaglia non è avvenuta perché avevamo bisogno di
    carburante o di manodopera”, ha aggiunto. “Il nostro scopo non è di
    migliorare la situazione nella Striscia di Gaza. Questa battaglia mira a
    cambiare completamente la situazione”. Secondo al-Hayya, i leader di Hamas
    pensano che la questione palestinese sia stata relegata in secondo piano e che
    solo un’azione decisiva possa “ravvivarla [… in maniera tale che] ora
    nessuno nella regione avrà la pace”. Questa è la vera posta in gioco. I
    terroristi non vogliono “la pace”, anzi la detestano; quel che progettano è
    “rifare una, due, tre volte il 7 ottobre e poi ancora, fino alla distruzione di
    Israele”, come hanno dichiarato in un’altra occasione. Per tale ragione, come
    ha spiegato ieri Netanyahu in un’intervista, ma pensano tutti i dirigenti
    israeliani. il cessate il fuoco sarebbe “una resa a Hamas”. Lo stesso Biden,
    interrogato dai giornalisti in merito ha detto: “una tregua oggi non è
    possibile”.

    Le pause umanitarie

    Tutt’altra cosa sono le “pause umanitarie” che l’esercito
    israeliano pratica ormai da qualche giorno, in tempi determinati (di solito
    dalle 12 alle 16) e in luoghi precisi (il grande asse stradale Al-saledin che
    congiunge l’estremità settentrionale e quella meridionale di Gaza). Si tratta
    qui di permettere alla popolazione civile di uscire dal teatro principale della
    battaglia, che comprende la parte settentrionale e centrale della Striscia.
    Israele non vuole colpire i civili. Essi non sono, come si dice, “innocenti”:
    hanno votato in grande maggioranza per Hamas nelle uniche elezioni tenute
    dall’Autorità Palestinese nel 2006, hanno continuato a sostenerlo nei sondaggi,
    hanno partecipato in massa alle sue manifestazioni e ai suoi festeggiamenti per
    gli attentati, inclusi quelli del 7 ottobre. È ormai chiaro che un certo numero
    di persone non inquadrate nei gruppi terroristi, cioè “civili” hanno
    partecipato a questa strage, compiendo alcuni fra i crimini più terribili che
    vi sono avvenuti.

    Svuotare la vasca

    Ma la responsabilità è individuale e Israele non sta
    cercando né vendette né punizioni collettive. Semplicemente Hamas applica da
    sempre la teoria maoista della “guerra di popolo”, mescolandosi e
    mimetizzandosi nella popolazione civile “come pesci nell’acqua”, non indossando
    uniformi, mettendo le armi in case d’abitazione, scuole, moschee, ospedali –
    cose che sono crimini di guerra per la legge internazionale. In questa maniera
    i civili sono usati come scudi umani, imponendo un terribile dilemma: se
    Israele esclude ogni azione che li metta a rischio, i terroristi sono protetti e
    possono continuare a compiere i loro crimini; se invece li colpisce si attira
    odio e criminalizzazione. Contro la strategia dei “pesci nell’acqua” funziona
    solo la contro-strategia di “svuotare la vasca”: mandare via i civili in luoghi
    dove possono stare al sicuro e costringere i terroristi a combattere a viso
    aperto. È quello che fa Israele in questi giorni, col doppio obiettivo di
    salvare i civili e di eliminare i terroristi.

    Vicini al centro della ragnatela

    Le truppe israeliane hanno da tempo circondato la città
    di Gaza, hanno eliminato decine di centri fortificati in Gaza, liquidando molti
    terroristi e i loro capi. Hanno investito i dintorni dell’ospedale Rantisi,
    come tutti gli ospedali usato da Hamas nei sotterranei come centro di comando,
    magazzino d’armi e caserma. Sono arrivati al complesso di Ansar a Gaza City, il
    luogo in cui si trovano tutti i quartier generali di tutti i meccanismi di
    sicurezza di Hamas nella Striscia di Gaza, compresi gli uffici del Ministero
    degli Interni. Vi sono stati attacchi israeliani anche al complesso
    dell’”ospedale indonesiano” nel nord della Striscia e al Rantisi nel centro. I
    soldati di Israele sono ormai ad alcune centinaia di metri dall’ospedale
    centrale della città di Gaza, il Shifa. Questa scelta di obiettivi non è
    casuale né naturalmente deriva da un’avversione di Israele all’attività medica
    (è vero il contrario, come tutti sanno). Il problema è la scelta criminale dei
    terroristi di nascondere le loro principali istallazioni proprio sotto gli
    ospedali, per sottrarli ai bombardamenti. Shifa non è solo l’ospedale più
    grande di Gaza, ma la sede sotterranea dei comandi generali di Hamas, come
    Israele ha abbondantemente documentato e abbiamo riportato anche su Shalom. Il
    fatto di essere arrivati vicini “nel cuore della città di Gaza” dove Israele
    non era entrato da decenni, è un progresso importante. Ma non bisogna farsi
    illusioni: se il combattimento al suolo procede bene, più velocemente e con
    meno perdite del previsto, c’è ancora la battaglia sotterranea, quella
    decisiva. Ci sono tre livelli di tunnel, a quanto pare, a 20 metri sotto il
    suolo (il livello operativo), a 40 (il livello dei magazzini delle armi) e a
    70, dove stanno i capi e i centri operativi. Venti metri d’altezza è come una
    casa di sei piani; settanta metri, la dimensione di un palazzo di venti: tutto
    fortificato e pieno di trappole. Ma non sono palazzi bensì gallerie, labirinti,
    la famosa “metropolitana di Gaza”, che i terroristi sperano sia imprendibile,
    ma si sbagliano.

    L’uso degli ostaggi

    Ieri la Jihad Islamica ha imitato Hamas nel tentativo di
    usare gli ostaggi per la guerra psicologica: ha fatto pronunciare ieri in video
    a una donna anziana e a un bambino frasi di accusa contro il governo israeliano
    e Netanyahu e l’hanno diffuso in rete. Poi i terroristi hanno dichiarato che
    intendono liberarli. Nel frattempo il capo del Mossad e quella della CIA si
    sono incontrati in Qatar con esponenti del governo locale, che è fra i grandi
    protettori di Hamas e anche l’editore del network televisivo filoterrorista di
    Al Jazeera. Ma non bisogna farsi illusioni: la liberazione vera degli ostaggi
    non si può fare con uno scambio di prigionieri o una tregua, che darebbero la
    vittoria ai terroristi, ma solo con la loro completa sconfitta.

     

     

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