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    Spade di ferro – giorno 30. La guerra nei tunnel

    La nuova fase della guerra

    Terminato l’accerchiamento della città di Gaza, colpiti i
    principali edifici che contenevano centri logistici, di comunicazione, di
    comando, le fabbriche e le abitazioni dei capi terroristi, resta ora
    all’esercito israeliano il compito più difficile: stanare i terroristi,
    eliminare la loro infrastruttura, catturare o uccidere le loro truppe e
    soprattutto i loro capi. La guerra di Israele per la distruzione di Hamas e
    degli altri gruppi terroristi di Gaza non potrà essere vinta se non si
    raggiungono questi obiettivi, con il consenso della “comunità internazionale” o
    senza di esso. Se Israele accettasse di fermarsi prima, questo significherebbe
    la sopravvivenza di Hamas e dei suoi complici, in prospettiva una
    riedificazione delle sue strutture militari e del suo dominio su Gaza, grazie
    all’aiuto di Iran, Qatar, Turchia, e quindi la certezza che prima o poi il
    massacro del 7 ottobre si potrebbe ripetere in una forma o nell’altra, come gli
    stessi capi di Hamas hanno minacciato. Tutti i sacrifici sarebbero stati allora
    vani o quasi.

    Il combattimento urbano

    Per liquidare definitivamente il terrorismo a Gaza, Israele
    deve prendere il controllo delle città e mantenerlo per il tempo sufficiente a
    eliminare tutti i residui di resistenza. Questo significa affrontare le strade
    e le case da dove i terroristi nascosti (che sono ancora molto numerosi, almeno
    i tre quarti degli effettivi di Hamas) tentano di uccidere i soldati e
    distruggere i loro mezzi. Ma le case sono vulnerabili all’aviazione e
    all’artiglieria. Vi è ormai un coordinamento stretto delle forze israeliane per
    cui si può essere sicuri che gli edifici da dove i terroristi spareranno
    saranno presto distrutti. Ciò naturalmente comporta una grave devastazione
    dell’ambiente urbano, ma la responsabilità non è dell’esercito israeliano bensì
    dei terroristi che usano le strutture civili come fortificazione militari, il
    che è un crimine di guerra. In sostanza la sofferenza dei civili deriva dalla
    scelta dei terroristi di non combattere in campo aperto, di mescolarsi alla
    popolazione senza indossare uniformi, spesso usando ambulanze, ospedali, scuole
    e moschee per nascondersi.

    La “metropolitana di Gaza”

    Se gli edifici usati come base del combattimento terrorista
    possono essere conquistati o distrutti con l’aiuto dell’aviazione e
    dell’artiglieria (ma certamente non senza perdite), molto più problematico è il
    caso delle gallerie, che sono la vera base d’azione e il rifugio dei terroristi
    e delle loro armi. Si tratta letteralmente di centinaia di chilometri di
    tunnel, costruiti nel corso degli anni a diversi livelli e con percorsi
    tortuosi, in tre grandi gruppi: al nord sotto agli insediamenti di Beit Hanoun e
    Jabalia; al centro sotto la città di Gaza, al sud sotto Kahan Jounis. I centri
    di snodo di questa “metropolitana di Gaza” sta sotto i principali ospedali: lì
    vi sono i magazzini di armi e viveri e carburanti, centri di comunicazione e
    comando, probabilmente anche i luoghi dove vivono i capi più importanti e le
    celle dove sono tenuti gli ostaggi.

    La difficoltà di eliminare i tunnel

    Il primo problema per Israele è che di queste gallerie si ha
    una conoscenza molto approssimativa. La rilevazione radar è difficile, lenta e
    imprecisa. I radar a banda ultra larga (da 300 a 3000 Mhertz) penetrano solo
    fino a 30 metri e hanno una risoluzione molto bassa. Inoltre funzionano con
    macchine pesanti montate su carrelli, che è difficile usare in guerra. Allagare
    i tunnel, o riempirli di gas è tecnicamente complicato, perché certamente vi
    sono paratie e punti di sfogo; molti sono stati bombardati, cercando di farli
    crollare, ma riuscirci è difficile, perché molti sono profondi e costruiti
    tenendo conto di questa possibilità e bisogna anche tener conto del fatto che
    al loro interno vi sono gli ostaggi, che fungono da scudi umani. In questi
    ultimi giorni Israele ha iniziato a usare “bombe sismiche” o antibunker, che
    non esplodono in superficie ma sottoterra (fino a 30 metri di profondità)
    provocando una sorta di piccolo terremoto capace di far collassare grotte e
    gallerie: efficaci, ma con raggio limitato. Entrare a esplorarli significa
    correre forti rischi. I droni aerei e anche i robot terrestri (che esistono e
    sono capaci di superare ostacoli notevoli) sono difficili da usare, perché il
    segnale radio non passa facilmente gli angoli dei tunnel. In questo momento
    Israele sta usando cani appositamente addestrati che portano piccole telecamere
    e rilevatori; ma anche questi risentono della difficoltà di trasmissione delle
    onde elettromagnetiche. Anche i visori notturni, che sono molto utili
    all’esterno perché amplificano quel minimo di luce che esiste sempre, nelle
    gallerie non funzionano, perché il buio è facilmente totale. Vi sono dei visori
    termici, che rilevano i raggi infrarossi emessi con diversa intensità dai vari
    materiali; ma essi possono essere facilmente confusi con l’uso di diverse forme
    di calore.

    Il combattimento sotterraneo

    In definitiva saranno dei soldati a dover affrontare i
    pericoli delle gallerie: bombe nascoste, frane artificiali, agguati da feritoie
    e botole, le fiamme o la mancanza di ossigeno: ogni forma di minaccia prima del
    combattimento fisico Israele ha sviluppato un’arma speciale per l’uso nelle
    gallerie, delle “bombe-spugna” che emettono una specie di gel che si solidifica
    rapidamente bloccando molte aggressioni; ma si tratta di strumenti di uso
    difficoltoso, che possono colpire anche chi li maneggia. Resta comunque il
    grande vantaggio, dentro il tortuoso labirinto delle gallerie, di chi le ha
    progettate, le conosce e ne detiene le mappe. Ma i valorosi soldati israeliani
    delle squadre speciali che svolgeranno questo compito si sono addestrati a
    lungo per riuscirci e hanno certamente l’appoggio di tecnologie che non sono
    pubbliche come quelle di cui finora ha parlato questo articolo. A loro,
    soprattutto è affidata la difficile sfida col terrorismo che Israele è stato
    costretto ad affrontare dai crimini del 7 ottobre.

     

     

     

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