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    Ritornano gli omicidi contro civili ebrei israeliani disarmati

    Gli omicidi

     

    Hanno ricominciato. I terroristi hanno ucciso di nuovo a tradimento civili innocenti in Israele. Sabato hanno assassinato insieme un padre sessantenne e suo figlio ventenne a Huwara (Silas (Shai) e Aviad Nigerker). Erano andati in quel paese arabo già teatro di atti di terrorismo a fare la spesa risparmiando sul costo dei negozi israeliani, come facevano spesso. Gli assassini si sono avvicinati alla loro macchina con targa israeliana, hanno accertato che a bordo ci fossero ebrei e non arabi israeliani e poi li hanno uccisi a sangue freddo. Che i Nigerker fossero buoni clienti dei negozi locali e dicessero di avere amici lì, di sentirsi al sicuro perché li conoscevano tutti, non è servito a nulla.

     

    Lunedì invece, vicino a Hebron, sulla strada 60 che percorre tutto il crinale della Giudea e della Samaria, una madre e maestra d’asilo Batsheva Nigri, quarant’anni è stata ammazzata in un agguato davanti a sua figlia bambina di sei anni, rimasta miracolosamente illesa, mentre è stato ferito gravemente il conducente della macchina che aveva dato loro un passaggio, Aryeh Gotlieb. Nell’abitacolo della macchina sono state trovate 25 pallottole.

     

    Pochi giorni fa c’è stato un attentato a Tel Aviv, ancora lunedì un israeliano che aveva sbagliato strada e si era trovato a passare per un villaggio arabo in Samaria è stato salvato a stento dall’esercito, con la macchina distrutta e lui stesso ferito. Insomma, il terrorismo è ripartito ancora una volta.

     

    Hanno ricominciato anche i giovani arabi a offrire dolcetti per le strade per festeggiare gli assassini, i media e i politici dell’Autorità Palestinese a celebrarli come eroi, e l’Autorità Palestinese a promettere loro stipendi e alle famiglie benefici economici importanti se fossero imprigionati o liquidati durante la cattura.

     

    Responsabilità

     

    Il capo del comando centrale responsabile della sicurezza di Giudea e Samaria, generale Fuchs, ha commentato: “siamo davanti a un’ondata di terrorismo senza precedenti”. Netanyahu ha commentato “Siamo in mezzo a un’ondata terrorista promossa dall’Iran”.  Ma si stenta a chiamare questi assassini terrorismo, perché il terrorismo è una strategia politica, implica una razionalità, sia pure malvagia e terribile. Questi crimini invece non rispondono a nessun progetto razionale, neppure di guerra asimmetrica contro Israele, sono atti di puro odio omicida.  Il che non significa che non vi sia una responsabilità politica per questi crimini: l’assassinio di Huwara è stato rivendicato da Hamas, quello vicino a Hebron dal braccio armato di Fatah, che è il movimento politico presieduto da Mohamed Abbas, il dittatore dell’Autorità Palestinese. Sarà l’Autorità Palestinese, con i fondi che gli vengono generosamente forniti dall’America di Biden e dall’Unione Europea a pagare gli stipendi degli assassini, se saranno catturati, o la pensione delle loro famiglie. Ed è l’UNRWA, agenzia della Nazioni Unite finanziata ancora da Usa ed Europa, a gestire le scuole in cui fin da bambini gli arabi di Giudea, Samaria e Gaza sono educati al terrorismo. I dolcetti sono pubblicamente offerti ai passanti per festeggiare l’assassinio di una donna disarmata e di due uomini che si fidavano dell’ospitalità del paese dove andavano spesso, sia a Gaza che nelle zone controllate dall’Autorità Palestinese. E fra i partiti arabi israeliani almeno uno, Balad, si è sempre rifiutato di condannare questi assassini.

     

    Perché ora?

     

    Ci si può chiedere la ragione di questo ritorno del terrorismo e magari metterlo in relazione con l’indebolimento della deterrenza israeliana provocata dalle proteste contro la riforma giudiziaria, incluso il rifiuto di prestare servizio di un certo numero di riservisti dell’Esercito. Ma probabilmente la ragione non è questa o non è solo questa, come non lo è la lotta di potere sempre più dura che si è scatenata ormai apertamente per la successione ad Abbas, vecchio, malato e corrotto. Il punto centrale è probabilmente un altro: la progressiva irrilevanza della “questione palestinese” anche per i paesi arabi, non solo quelli che hanno aderito ai “patti di Abramo”, ma ormai forse anche l’Arabia saudita e la Tunisia governata da un semi-dittatore integralista. Vi sono generazioni intere di arabi abitanti in Giudea, Samaria e a Gaza e molti anche in esilio, che sono stati educati fin da bambini e continuamente indottrinati a credere che la soluzione dei loro problemi non fosse nelle costruzione di un’economia funzionante, nell’integrazione con i vicini, nel lavoro, nell’edificazione di uno stato efficiente, ma solo nella “lotta armata”, nella futura “cacciata a mare” del “nemico sionista” se non nella strage di tutti gli ebrei. Ora sono più o meno abbandonati da tutti (salvo dall’Iran, che  è il solo stato importante della regione in questo momento a progettare la distruzione di Israele ed esalta continuamente il terrorismo, inneggiando cinicamente all’omicidio) e puntano ad eliminare i loro vicini ebrei, tanto più innocui, tanto meglio, perché l’assassinio è più facile. E naturalmente per i terroristi l’assassinio è effettivamente una promozione sul piano personale, perché gli onori, le esaltazioni e soprattutto gli stipendi pagati dall’Autorità Palestinese  possono risolvono i  problemi economici e di status loro e delle loro famiglie. Vi sono località come Huwara, Jenin, in parte Nablus e Hebron, dove il potere è direttamente nelle mani di gruppi che non hanno alcuna altra prospettiva politica o esistenziale se non l’assassinio degli ebrei. A Israele spetta ora anche il compito lungo e difficile di neutralizzare questi gruppi.

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