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    Operazione spade di ferro, giorno 54. Il mercato di Hamas sui rapiti e la pressione internazionale

    Il quinto gruppo di rapiti

    Anche la quinta liberazione di innocenti rapiti da
    parte dei terroristi, sempre in cambio della scarcerazione di un numero triplo
    di terroristi, si è concluso ieri al valico di Rafah, con il solito contesto di
    molestie da parte dei sostenitori di Hamas. Si tratta di due lavoratori
    thailandesi e di dieci donne israeliane. I loro nomi sono Gabriela Leimberg
    (59), che lavora presso un’associazione di assistenza agli autistici e sua
    figlia Mia Leimberg (17) di  Gerusalemme; Clara Marman, maestra d’asilo
    (63 anni) di Nir Yitzhak; Ophélie Roitman (77 anni) di Nir Oz, di doppia
    nazionalità israeliana e argentina; Ditza Himan, 84 anni, uno dei fondatori del
    Kibbutz Nir Oz, assistente sociale; Merav Tal (53 anni) di Gedera, madre Or e
    Gil Yaakov,che erano stati liberati nei giorni scorsi, mentre il loro padre e
    marito di Merav, Yair, è sempre nelle mani dei rapitori; Norlin Babdila (60
    anni) di Yehud Monoson; Ada Sagi (75 anni) di Nir Oz; Tamar Metzger (78 anni)
    di Nir Oz; Ramon Kirsht (36 ani) di Nirim, musicista. Si tratta questa volta di
    donne quasi tutte molto anziane. Che esse siano state rapite e detenute in
    condizioni terribili senza essere incolpate di nulla, se non della loro
    identità ebraica, evidenzia una volta di più la vicinanza morale dei terroristi
    palestinesi al nazismo.

     

    L’estensione della tregua

    Oggi dovrebbe avvenire la sesta liberazione di
    rapiti. Si parla di un’estensione di altri due giorni, una possibilità già prevista
    nell’accordo iniziale approvato dal governo che prevedeva un massimo di dieci
    giorni per il cessate il fuoco e la liberazione dei rapiti. Secondo fonti
    governative israeliane, non vi sono trattative serie in corso per un’ulteriore
    estensione oltre quel limite. Ma la pressione internazionale in questo senso
    continua. I ministri degli Esteri del G7, cioè Canada, Francia, Germania,
    Italia, Giappone, Regno Unito, Stati Uniti d’America e l’Alto Rappresentante
    dell’Unione Europea, hanno rilasciato ieri una dichiarazione in cui esprimono
    sostegno per una proroga della pausa nei combattimenti a Gaza. Nella
    dichiarazione si afferma che i ministri “accolgono con favore il rilascio di
    alcuni degli ostaggi sequestrati il 7 ottobre da Hamas e altre organizzazioni
    terroristiche, e la recente pausa nelle ostilità che ha consentito un aumento
    degli aiuti umanitari per raggiungere i civili palestinesi a Gaza […] Noi
    chiediamo il rilascio immediato e incondizionato di tutti gli ostaggi.
    Chiediamo la partenza agevolata di tutti i cittadini stranieri. Sottolineiamo
    il diritto di Israele a difendere se stesso e il suo popolo, in conformità con
    il diritto internazionale, mentre cerca di prevenire il ripetersi degli
    attacchi del 7 ottobre”. Rilevando che la pausa nei combattimenti “rappresenta
    un passo cruciale verso il ritorno a casa di tutti gli ostaggi rimasti e per
    affrontare l’intera portata della crisi umanitaria in corso a Gaza”, la
    dichiarazione invita “tutte le parti a basarsi sulle disposizioni dell’accordo
    e a garantire una maggiore gli aiuti umanitari continuano a raggiungere i
    civili a Gaza su base continuativa […] Sosteniamo l’ulteriore estensione di
    questa pausa e delle tregue future necessarie per consentire un aumento
    dell’assistenza e per facilitare il rilascio di tutti gli ostaggi”.

     

    I rischi

    La presa di posizione della comunità internazionale
    (o almeno della sua componente occidentale, perché Cina, Russia e India non ne
    fanno parte, è importante nella parte che asserisce il diritto di Israele
    all’autodifesa e chiede il rilascio di tutti i rapiti. Ma ignora il fatto che
    la stessa continuazione della tregua è largamente percepita in Medio Oriente
    come una sconfitta di Israele e una vittoria per Hamas, come è stato rilevato
    da diversi osservatori. La tattica dei terroristi di rilasciare i rapiti a
    piccoli gruppi è da questo punto di vista molto efficace, perché obbliga 
    Israele alla scelta fra rinunciare a recuperare dei prigionieri e probabilmente
    a salvar loro la vita oppure rinunciare a colpire i terroristi e permettere
    loro di recuperare forze e organizzazione. Hamas ha segnalato oggi che è
    disposto a discutere anche sullo scambio di rapiti maschi, che considera
    militari, “ma – ha dichiarato Oussama Hamdan, responsabile di Hamas per gli
    scambi – solo dopo che si sarà conclusa l’aggressione israeliana al popolo
    palestinese e fermata la guerra. Le condizioni dello scambio dovranno essere
    molto diverse da quelle attuali.” E intanto si è saputo che Hamas ha rubato
    pure alcune salme di soldati, anch’esse destinate al loro infame commercio. Su
    questa situazione in Israele c’è un dibattito acceso; vi sono forze tanto della
    maggioranza (Otzma Yehudit e sionismo religioso) quanto dell’opposizione
    (Lieberman), che non sono soddisfatte della condotta delle operazioni contro
    Hamas, dicono che essa è ispirata alla stessa strategia generale (nel gergo
    politico israeliano chiamata “concepzia”, il concetto) di fiducia nella
    pacificazione che ha permesso a Hamas di perpetuare il suo attacco che pure era
    stato ripetutamente previsto e segnalato da alcuni, ma ignorato dallo Stato
    Maggiore.

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