Una guerra lunga
Le guerre in genere sono lunghe, ripetitive,
confuse. Pochi, anche di quelli che vi partecipano, hanno uno sguardo
complessivo su quel che accade davvero. Salvo la Guerra di Indipendenza, che
durò un anno e mezzo, Israele nella sua storia si è abituato a guerre veloci e
manovrate, a veloci avanzate e a battaglie fra carri e aerei che si risolvevano
nel giro di qualche giorno o un paio di settimane. Ne ha dovuto fare tante nei
suoi settantacinque anni di vita: quattro contro gli stati arabi, due maggiori
in Libano, cinque operazioni a Gaza, almeno tre grandi campagne terroristiche
(la “guerra d’attrito” fra il ’67 e il ’70, la cui base principale era proprio
Gaza, governata allora dall’Egitto, e le due “intifade”). Molte sono state
assai più costose dal punto della vita dei soldati, e dall’inizio più rischiose
per l’esistenza stessa del Paese. Questa, arrivata ormai alla sesta
settimana, è meno manovrata, più lenta
nei suo sviluppo, condotta in maniera sistematica e progressiva. A differenza
di tutti i conflitti sostenuti dopo la guerra del Kippur, essa si basa di nuovo
su un’idea chiara di vittoria, cioè la liquidazione completa del terrorismo da
Gaza, e non si limita alla “riaffermazione della deterrenza” che era la
dottrina militare delle recenti operazioni di Gaza. I caduti sono parecchie decine, persone
preziose che hanno sacrificato la vita per il loro Paese, di cui ciascuno ha
una storia, lascia dei parenti affranti e un futuro spezzato, ma finora grazie
alla tattica prudente e sistematica usata dall’esercito, per esempio grazie ai
lunghi bombardamenti preventivi, essi sono relativamente pochi, meno di un
decimo delle vittime della strage terrorista del 7 ottobre. E bisogna dire che
anche le vittime civili di Gaza, coinvolte per la criminalità dei loro dirigenti
terroristi in un conflitto che Israele non voleva e non prevedeva, sono
relativamente poche per una guerra coinvolta in un ambiente urbano: dei circa
11 mila morti denunciati dal “ministero della salute” di Hamas, molto
probabilmente fra i due terzi e i tre quarti sono terroristi.
Ancora l’ospedale
Della ripetizione fa parte l’insistere sugli stessi
punti nel lavoro di ricerca dei terroristi e delle loro strutture. Dopo essere
entrati l’altro ieri in certi reparti dell’ospedale Shifa, reperendo un centro
di comando e programmazione terrorista con
armi e materiali militari vari, che sono stati mostrati ai giornalisti,
e anche tracce dei rapiti ma purtroppo non loro stessi, nella notte scorsa i
militari israeliani sono entrati dall’altro lato del complesso dell’ospedale,
quello meridionale, fra l’altro accompagnati dai grandi bulldozer che hanno
iniziato a scavare nei cortili alla ricerca delle gallerie dei terroristi.
Durante le perquisizioni all’interno di uno dei reparti dell’ospedale, i
militari israeliani hanno individuato una stanza contenente mezzi tecnologici
unici, attrezzature da combattimento ed equipaggiamento militare utilizzati
dall’organizzazione terroristica di Hamas. Probabilmente sentiremo parlare a
lungo di questo ospedale, come degli altri, perché le strutture terroriste più
importanti sono state criminalmente nascoste nel suo sottosuolo, e l’esercito
deve scoprirle, conquistarlo o smantellarle.
L’azione sul territorio
Continuano anche le ispezioni e lo smantellamento
della struttura terroristica in varie località al nord della Striscia. La
novità è che l’esercito ha iniziato a diffondere volantini nella parte
orientale (verso il confine israeliano) della città meridionale di Khan Yunis,
invitando gli abitanti ad abbandonare le loro case per la loro sicurezza e a
rifugiarsi verso la grande tendopoli che ormai sorge a sudovest, fra il valico
di Rafah (con l’Egitto) e il mare. Questo vuol dire che anche la zona
sudorientale della Striscia, dove si trova la terza sezione della rete dei
tunnel, sta per essere conquistata, per smantellarvi le strutture terroriste.
Continuano anche occasionalmente, con il solito valore soprattutto simbolico,
le azioni di disturbo provenienti dallo Yemen (tre salve di razzi abbattuti
ieri) dal Libano e dalla Siria, come anche dalle città arabe di Giudea e
Samaria. Contrariamente alle speranze dei terroristi, questa volta non si è
aperto un fronte interno con gli arabi israeliani, forse anche perché pure
alcuni di loro sono stati colpiti dai terroristi il 7 ottobre.
Il fronte politico
I media e le manifestazioni “pacifiste” (alcune in
sostanza filoterroriste) continuano a invocare il cessate il fuoco come
soluzione della guerra e del problema degli ostaggi – il che alla luce
dell’esperienza è del tutto irrealistico. Sulla stampa si susseguono notizie di
“quasi accordi” per una tregua e contemporaneamente di dissensi fra Israele e
il suo principale alleato, gli Usa. Ma probabilmente per il momento sono “fake
news” più o meno interessate o in buona fede. Il cancelliere tedesco Scholz ha
dichiarato ieri di non vedere l’opportunità di un cessate il fuoco in questo
momento. E anche Biden ha fatto un’intervista che vale la pena di riportare
largamente: “Hamas ha commesso crimini di guerra quando ha operato dall’ospedale,
gli israeliani non sono entrati con grandi forze, abbiamo parlato con loro
della necessità di prestare particolare attenzione. Hamas ha già detto
pubblicamente che intende attaccare di nuovo come ha fatto, quando ha
decapitato neonati e bruciato vivi bambini e donne – pensare che si fermeranno
semplicemente e non faranno nulla è irrealistico, usano tunnel per entrare
[…]”. Al Presidente è stato chiesto quanto durerà la guerra e quando
finirà. “Quando Hamas non avrà più la capacità di uccidere e fare cose
orribili agli israeliani. […]
L’esercito israeliano capisce che è obbligato a stare attento [a evitare
di colpire i civili], non è come i russi che sparano alla gente
indiscriminatamente. Hamas sta pianificando un nuovo attacco ed è un terribile
dilemma cosa fare in una situazione del genere. Israele corre il rischio che la
sua gente venga ucciso in questa operazione. Ma una cosa è chiara: Hamas ha un
Quartier Generale sotto l’ospedale”.